Storie Operaie è una raccolta (aperta) di interviste audio a operai, tecnici, impiegati, donne e uomini che hanno trascorso in fabbrica a Ottana un periodo della loro vita, a volte un’intera vita lavorativa. I 50 anni trascorsi dall’insediamento dell’industria nella Sardegna centrale sono un tempo – una distanza – che può consentire di guardare a quella storia attraverso gli occhi, il ricordo dei protagonisti, ma oltre il quale un patrimonio si può anche perdere. Il lavoro di raccolta delle testimonianze ha avuto inizio nel 2020 per iniziativa dell’associazione Paesaggio Gramsci condivisa da un gruppo di operai, è andato  avanti sino a ora che viene messo on line il sito che costituirà un archivio digitale della memoria della fabbrica, e che proseguirà con l’obiettivo di raccogliere e conservare la testimonianza di chiunque voglia parlarne, perché questi materiali siano a disposizione di chi voglia attingerci come oggetto di studio e di conoscenza.

Su questo mezzo secolo di storia della Sardegna centrale prevalgono letture diverse, anche letture catastrofiste. La teoria del disastro antropologico, oltre che industriale, sociale, ambientale della scelta dellindustria. Poca saggistica, per riequilibrare i giudizi con una analisi della complessità. Nessun romanzo ambientato in quel contesto pure enormemente interessante, pure enormemente conflittuale allincrocio fra arcaismi e modernità. Eppure se ci si pensa, gli operai della prima immissione di massa nella fabbrica – la generazione dei nati fra gli anni ’40 e ”50 del secolo scorso, figli di contadini e pastori e spesso giovani contadini e pastori loro stessi, la cui sola alternativa era l’emigrazione – hanno conosciuto la Sardegna più tradizionale e per molti versi arcaica, e sono stati nel mezzo dei processi produttivi dell’industria moderna, in una dimensione di vita collettiva, di produzione di beni, controllo delle macchine, coscienza di classe e impegno politico. Hanno subito anche dominii, sono stati anche subalterni e sotto ricatto, esposti all’amianto e in luoghi inquinati, denervati dalle crisi ricorrenti della fabbrica, infine emarginati nelle stesse comunità che hanno contribuito a far vivere e progredire. Emarginati come produttori di immaginario, sconfitti loro malgrado e inascoltati nonostante la ricchezza delle storie che hanno vissuto, dentro la fabbrica e osservando il fuori dalla fabbrica, le loro comunità, la Sardegna, il mondo, con uno sguardo mai esercitato prima. Possibili storici di un secolo decisivo, non solo una fonte della storia che si scrive e si scriverà.

Le interviste sono state raccolte al registratore da Francesca Atzas, Valeria Sanna e Umberto Cocco, che le ha anche coordinate. Trascritte fedelmente per conservare la forza del parlato, anche quando è stato usato il sardo o per l’intera intervista o nell’intercalare o con pezzi della conversazione, tengono dentro il procedere della conversazione fra i ricercatori e gli intervistati, perché sia chiaro che si tratta della  costruzione di un discorso, non di una verità.

Le memorie divise

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“Perché non venite a chiedercelo a noi”

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