Episodio 7 – Francesco Tolu

Francesco Tolu è uno dei più conosciuti ex dirigenti sindacali e politici di Ottana, attivo ancora oggi nella denuncia dei danni procurati dall’amianto e nelle rivendicazioni per il riconoscimento dell’esposizione degli operai all’asbesto, fra le frequenti cause di morte. Con identico rigore racconta la vicenda industriale dalle origini a oggi, ricostruisce per i familiari le carriere professionali dei suoi ex compagni di fabbrica – mansioni, reparto, orari di lavoro – allo stesso modo con cui ha ricostruito la storia del padre, emigrato e poi internato in un campo di concentramento, tornando in Germania, consultando le carte dell’Archivio di Stato.

Intervista integrale: 56 min. 

Francesco Tolu, nato a Escalaplano il 14 dicembre 1950. Maggiorenne, figlio di Orlando e di Giuseppina. Mio padre era un minatore con la terza elementare, mia madre analfabeta. Ero il secondo di 5 figli; mia sorella, nata due anni prima di me, poi una sorella dopo di me e due fratelli. Vivevo una realtà, quella dei ragazzi del 50, dove praticamente ci si conosceva tutti allinterno di paese che era intorno ai 3000 abitanti allora. Le uniche possibilità di lavoro in quella fase lì erano io ricordo nel 56… che negli anni 50 si stava costruendo la diga del Flumendosa, e quindi gran parte degli occupati erano lì; unaltra parte, parlo di alcune decine, lavoravano in miniera a Silius. Per il resto agricoltura, pastorizia, il poco che poteva offrire quella realtà lì. Dopodiché, finite le scuole elementari e medie, a 15 anni rimango orfano: mio padre aveva avuto un grande incidente durante la costruzione della diga. Praticamente era esplosa una mina, lo aveva fracassato lo hanno ricoverato a Iglesias, io avevo 6 anni, andai a trovarlo e mi spaventai, era fasciato forse un occhio avevo visto quella volta poi però, dopo un po, si riprese e nonostante linvalidità riprese anche a lavorare, riprese con lavori saltuari in paese, quelli che poteva fare nei suoi terreni: tantè vero che realizzò un progetto di un muro perimetrale di un terreno e io facevo il manovale, a 10 anni non è che mi piacesse molto, però ci andavo un muro in pietra, sì, a secco. Quindi andavo e seguivo i lavori che faceva lui.

Umberto Cocco: Lui, minatore, perché nella diga in quel periodo Mobilitarono anche i minatori per minare, per esempio?

 

Esatto, sì per lesplosivo in particolare. Dopodiché, eravamo nei primi anni 60, non cerano alternative: la pastorizia non rendeva, lagricoltura neanche, e allora si intraprese la strada dellemigrazione, andò a lavorare al traforo del Monte Bianco, stessa attività come minatore.

 

Quindi tuo babbo va lì, e tu sei dove a quel punto?

 

Io ero alle medie, avevo fatto lavviamento ma lavviamento venne soppresso e passai dalla II avviamento alla II media, e quindi 2 anni alle medie. Il terzo anno delle medie lui tenta di nuovo la strada dellemigrazione, e praticamente era andato a finire in Germania. Andò in Germania, stava lavorando e una sera, mentre rientrava da lavoro verso casa, venne travolto da un treno. Sai, io avevo vissuto quella esperienza in modo veramente drammatico, perché dopo la comunicazione del decesso e dellincidente, passarono 9 giorni prima che la salma arrivasse in paese.

Quindi io ero il più grande dei maschi a casa e me ne occupavo io con mio zio, fratello di babbo. Mi ricordo che andammo allaeroporto a prendere la salma con un altro cugino di babbo che aveva il furgone; caricammo la salma lì e la portammo in paese.

Poi, sai, io finivo la terza media e quindi alla fine qualcosa dovevo fare: e lunica cosa era ci informarono di questistituto che poteva offrire per gli orfani dei lavoratori la possibilità di studiare e quindi venni qui, a Nuoro, che cera la sede dellEnaoli, con mamma e affrontammo questa cosa qui Cosa vuoi fare, cosa ti piacerebbe fare eccetera e io, siccome avevo una passione innata per la meccanica, dissi: «Io vorrei occuparmi di meccanica». «Di meccanica per fare cosa?». «Anche motori», dissi e quindi scelsi il corso come motorista meccanico. Quindi alcuni mesi dopo venni assunto allEnaoli di Iglesias, mi offrirono il posto lì ed era un bel collegio attrezzato, aveva aule molto ampie, una dotazione di attrezzature eccezionali. Probabilmente era il primo in Italia come istituto professionale, pensa che cera un reparto di macchine e utensili dove potevano operare 20 alunni contemporaneamente, con .frattoni, frese, rettifiche eccetera Sale di aggiustaggio, una sala motori dotatissima dove praticamente smontavamo e rimontavamo, questo era il lavoro da fare. Cerano dei professori molto bravi, venivano dallindustriale di Cagliari anche.

Quindi quella era stata unesperienza molto interessante, molto bella, dove si era formato un gruppo di compagni di scuole dove cera affiatamento.

Quindi dopo lesperienza allEnaoli

 

Che dura quanto? Quanto ci stai?

 

Tre anni, dopo il diploma dellistituito professionale inizio a pensare a cosa fare. In Sardegna non cerano possibilità, non avevo fatto domanda per entrare a Porto Torres o nella zona di Cagliari. In quella fase lì, nel 69, non stavano assumendo e quindi mi dedicai a ricercare oltre lorizzonte sardo, anche italiano, che cosa potevo fare. Feci la domanda alla Fiat però nel frattempo venne fuori una occasione di lavoro a Ginevra, perché stavano costruendo il Cern.

Cerano diversi di paese che lavoravano lì e un mio cugino chiese a uno che aveva i mezzi meccanici e faceva movimento terra, e mi assunse subito. Andai lì a lavorare, nel mese di agosto-settembre (le scuole le avevo finite a giugno), partii a Ginevra per lavorare in questa società; mi occupavo delle macchine di movimento terra, caterpillar, mezzi pesanti e roba del genere io avevo unesperienza teorica. Lesperienza pratica ce lavevo a scuola in officina, ma sul campo no. Quindi feci questesperienza molto interessante, mi ricordo le gelate dinverno; si usciva sotto la neve, perché i mezzi non rientravano tutti nella zona fisica dellofficina o del cantiere. Restavano lì sul campo e la mattina si andava a metterli in moto, a volte non partivano, e passavo le giornate così. Dopo quellesperienza, che durò un anno e mezzo circa, tentai la carta Torino, in officina, e a Torino la cosa non andò bene. Io volevo fare meccanica, non andare lì allofficina a spazzare. Cero un mese e non avevo ancora toccato un bullone di motore, neanche visto. Cera lofficina da pulire, ho detto «A me non interessa» e me ne sono andato.

Venne fuori unoccasione di lavoro a Milano, in una fonderia dove praticamente la meccanica consisteva nel ripristinare le macchine che servivano per tirare le forme per le colate. Erano macchine ad aria compressa però il sistema era sempre meccanico. E quando non cera meccanica da fare, mi facevano fare il gruista col carro ponte. Io ci avevo preso gusto, mi piaceva, ero entrato nelle simpatie del titolare della società, che era un ingegnere. Ha visto che operavo bene con la gru, addirittura mi faceva caricare la sua barca che portava dalla fonderia nei mari vicino a Genova. Quellesperienza durò un anno e qualcosa.

Dopodiché venne fuori la possibilità di andare stiamo parlando del 1971, io ero ventunenne

Nel 1972 venne fuori unaltra occasione di lavoro, in Siria. Praticamente una società italiana stava costruendo un canale di irrigazione nel deserto, uninfrastruttura molto grossa: questi canali a forma di V avevano 7 metri di lato per parte e 2 di fondo. Con macchine, con un macchinario della Caterpillar. Io ero addetto insieme a una squadra di collaboratori al buon funzionamento di questa macchina. Si lavorava di notte perché di giorno le temperature erano molto alte e il cemento si sarebbe praticamente frantumato da solo. Di giorno il lavoro veniva innaffiato.

Lì imparaiSiccome lunico interlocutore era il topografo che parlava in francese e io in francese un po mi arrangiavo già (un po per Ginevra e un po per la base elementare che ti davano a scuola), interloquivo con lui e con i miei collaboratori che parlavano larabo: dopo quattro mesi parlavo anche larabo, lo capivo e lo parlavo tranquillamente. Quellesperienza durò sei mesi.

Dopodiché rientro dalla Siria e mi sposo, perché limpegno era che andavo in Siria e poi mi dovevo sposare.

 

Con una ragazza che conoscevi da quanto?

 

Dal 69, era di Escalaplano, studiava a Nuoro, rientrava per le feste e ci eravamo incrociati in quelle circostanze. Nacque questo rapporto che dura ancora oggi, è mia moglie.

 

A Nuoro cosa studiava?

 

Magistrali.

Quindi io rientro a dicembre e a gennaio ci sposiamo, gennaio del 72. Siamo quasi a 50 anni di matrimonio. Cera lo zio che lavorava in questa zona, era ragioniere di unimpresa che lavorava a Ottana e disse: «Ma vuoi venire a Ottana a lavorare? Abbiamo mezzi, abbiamo tutto», e io ho detto:  «Non so possiamo provare», e allora entro a Ottana

 

Aspetta, le relazioni tra Ginevra, Torino, Milano, con amici eccetera che emozioni vivevi? Il distacco dalla Sardegna a un certo punto non ti importava più niente probabilmente o no? La fidanzata ti teneva legato?

 

Lunico legame, i punti di attrazione erano quelli per il resto no

 

La famiglia non ti scoraggiava dallandare via, ti lasciavano fare?

 

No no, assolutamente. Ero andato tranquillo si rientrava per le feste, a Natale, a Pasqua, per quattro o cinque giorni e poi partivi tranquillamente.

 

Quindi vai a Ottana Raccontami i primi passi.

 

Arrivo a Ottana e prendiamo questa casa in affitto, ero solo.

 

Che selezione avevi fatto?

 

No, la prima impresa era quella dove lavorava questo zio. E lì Sai, il nostro dialetto è diverso da questo, noi parliamo il campidanese e qui parlano il barbaricino, parlavano in sardo e pensavi: «Ma che cavolo ma chi è questo o quellaltro?» Erano scene comiche, però mi ero trovato bene anche lì, mi ero inserito bene

Ricordo che il primo anno, si stava costruendo il parco serbatoio, quindi cerano saldatori in giro, il montaggio di queste lamiere enormi che saldavano dalla mattina alla sera, betoniere che andavano e venivano da una parte allaltra. E lì inizio a prendere contatto di gente ce nera parecchia: pensa che nel 1973 a Ottana lavoravano 56 imprese metalmeccaniche, edili, elettriche, di informatica, cera un po di tutto cerano imprese come la CIMI con 500 dipendenti, la SORIMI uguale, la Ferretti, la Gecomeccanica (saldatori) 56 imprese per un totale di circa seimila lavoratori.

E così inizia questa esperienza. Dopo alcuni mesi, 5 o 6, iniziano gli scioperi perché i lavori si stavano concludendo e le imprese iniziavano a licenziare. I lavoratori finivano in strada; al che cerano gli scioperi, i blocchi ai cancelli tutti i giorni.

Pensa che nel 73 (noi ci eravamo sposati a gennaio) mediamente si rientrava a casa con il 50% dello stipendio perché il resto finiva negli scioperi.

 

Come te lo ricordi il paesaggio? Era la prima volta che andavi

 

Ottana era la prima volta che ci andavo, era una realtà incredibile pensa che le fogne passavano nella cunetta. Avevamo una casa vicino al distributore Esso, dentro il paese, e lì cera questa situazione incredibile ci rimasi alcuni mesi e poi dopo trovammo una soluzione e ci trasferimmo a Orani.

A Ottana la situazione in quegli anni era di un movimento pazzesco, gente che arrivava da tutte le parti; andavi al bar ed era sempre strapieno, la mattina a fare colazione. Bar, ristoranti, pizzerie… cera di tutto ed erano strapieni. Pensa che rientravano dalla Francia, Salvatore Zoncheddu con la moglie, appena rientrati misero su questo bar ed era una miniera.

Poi partecipavo agli scioperi, perché non ero nuovo a queste esperienze a Iglesias negli anni 65-68/69 gli scioperi erano quasi allordine del giorno e venivano promossi dai minatori coinvolgendo tutti gli istituti di Iglesias. Si partecipava ed era una cosa molto positiva.

 

Comincia a nascere un po di coscienza ovviamente anche politica

 

Esatto, io ricordo che cera una sensibilità da parte della popolazione di Iglesias molto attiva. Quando si passavo lì con gli scioperi e i cortei, le serrande si abbassavano, non vedevi una serranda aperta. Cera questa solidarietà emergente da parte della popolazione, perché si sentiva proprio lesigenza di manifestare e solidarizzare con i minatori. Perché la perdita dei posti di lavoro non era uno scherzo, nonostante il lavoro fosse quello che era, lesperienza in miniera era drammatica

 

A Escalaplano la dimensione era naturalmente unaltra nel paese di politica forse cera qualcosa di più rispetto ad oggi, almeno il contrasto storico tra la Democrazia cristiana e la sinistra?

 

Escalaplano era un paese democristiano. Lunico che veniva additato era uno che si chiamava Peppino Piga, che era un comunista, lunico. «Ecco quello è comunista», cioè veniva proprio additato perché era lunico. Poi cerano socialisti; uno che abitava di fronte a casa

poi cerano le famiglie classiche democristiane.

 

Perché socialmente comera? Piccola proprietà contadina, quando uno aveva un po più di cose era un po più consistente anche E intellettualità? Che tipo di classi dirigenti cerano?

 

In quella fase non cera nessuna attività o iniziativa

 

Un po di notabilato locale, quello che amministrava?

 

Sì, sì.

 

Quindi la tua famiglia è pure democristiana come elettorato?

 

No, babbo non era comunista ma doveva essere socialista o socialdemocratico, questo è quello che son riuscito a ricostruire.

Tieni conto che io, dopo questa esperienza qui, dopo aver lavorato a Ottana, dopo che ho finito la mia esperienza a Ottana ho iniziato a documentarmi su chi era mio padre, e per risalire a chi era io non avevo mia madre era già morta, i miei fratelli erano più piccoli di me e quindi ho aperto unindagine per capire chi era mio padre, no? E ho iniziato lindagine, a parte le chiacchierate fatte così in giro (ma non cerano più persone anziane), sono andato allArchivio di Stato per vedere un po che ruolo aveva avuto lui durante la guerra per esempio, e da lì sono risalito, ho scoperto che cosera. Lui era del 1914. Praticamente nel 1939 era stato arruolato e inviato in Albania, a Scutari. Quindi l8 settembre si trovava lì. Quelli che non aderivano alla Repubblica di Salò venivano fatti prigionieri e deportati in Germania, e lui finì in un treno e venne deportato in Germania, a 25 km da Berlino. Dopodiché venne liberato due anni e mezzo dopo dai russi ma non rientrò subito in Sardegna, rientrò nel 45, sei o sette mesi dopo facendo un giro pazzesco da come si chiama? Da Napoli addirittura.

Io ho poi fatto unindagine, ho voluto vedere questa cosa della Germania e sono andato tre volte. Allora a Velbert, stiamo parlando di 50 anni fa, praticamente cera una zona che si chiamava Velbert; poi hanno cambiato nome e lindirizzo che noi avevamo della sua abitazione non era più quello. Io sono andato lì e ho parlato con questa famiglia che anche loro, dice: «Noi abbiamo acquistato qui alcuni anni fa, ci siamo anche documentati però qui non cerano case per i lavoratori». Al che riapro un altro filone: mio genero è tedesco, abita a Colonia, il marito di mia figlia, e ho detto: «Proviamo a sentire i giornali di quellepoca, di quei giorni e vediamo se risaliamo a qualcosa» E…parla proprio con un postino che gli ha detto: «Quello aveva un altro nome, Velbert era questa zona qui»?  Al che siamo andati lì un giorno e abbiamo scoperto dovera: erano ex campi militari convertiti e utilizzati per i lavoratori immigrati che lavoravano lì. Adesso cè un supermercato, lho anche fotografato, e però sono rimasti dei resti di queste case qui, e si vede proprio una cosa che risale al 1940-50.

E quindi questa era la storia di mio padre per risalire un po.

Dal punto di vista politico non cè niente, lui era stato consigliere comunale, però non cera movimento, dibattito, non cerano sezioni. Lunica sezione era la Dc che era in tutti i paesi.

Poi ho iniziato a documentarmi su Ottana, e su Ottana la storia è molto interessante, secondo me straordinaria, perché io ho avuto modo di girare altri stabilimenti, sempre del gruppo ENI, e quindi ho visto anche in Sardegna, ho visto lesperienza nostra, di Ottana, e lesperienza di quegli stabilimenti. Ottana come nasce? Nasce perché cera una grande esigenza, ossia si partiva, voglio essere preciso su questo, perché le discussioni che avvengono oggi anche dopo 50 anni le domande che la gente si pone sono: cè unalternativa allindustrializzazione? Perché dicono: «Se avessero investito i soldi nella pastorizia» eccetera Allora, molti studiosi nel corso del secondo 900 hanno cercato una risposta a questo interrogativo, in particolare per comprendere la situazione attuale e soprattutto per comprendere le scelte di quegli anni lì. Vi era una reale possibilità di scelte diverse? Che poi si riduceva allipotesi di uno sviluppo in Sardegna senza un imponente apparato industriale concentrato su alcuni poli…

Laltra ipotesi era quella di uno sviluppo progressivo autoctono, endogeno e quindi non industriale ma fondato essenzialmente sul settore primario e sulle micro-imprese. Appare legittimo dubitare che alla fine degli anni 50 lo sviluppo non industriale fosse unalternativa possibile o superiore al percorso intrapreso. Contestualmente il ragionamento nella realtà sociale e politica del tempo era: lindustrializzazione rappresentava la forma più rapida ed efficace per inserire la Sardegna allinterno del miracolo economico italiano, perché di questo parliamo. I governi senza particolari eccezioni investivano sulla trasformazione delle regioni del sud, non più a vocazione esclusivamente agricola. Con lintervento della Cassa del Mezzogiorno si aprì la seconda fase di intervento straordinario nel Mezzogiorno, orientata decisamente verso il settore industriale. Questa era la situazione.

Quindi la sindrome industrialista invadeva il mondo degli studi, la scienza economica sosteneva la politica dellindustrializzazione. Nel 61 economisti, tecnici e studiosi senza eccezione sostenevano che lo sviluppo economico di una regione o nazione dipendevano soprattutto dallo sviluppo industriale.

Lo sviluppo capitalistico internazionale spingeva lItalia meridionale, e quindi anche la Sardegna, in una precisa direzione: quella dellabbandono dello sfruttamento dei campi, considerata la via ormai non più principale verso il progresso. Gli addetti allagricoltura e allallevamento nel 61 erano il 38% della popolazione attiva; chiedevano un altro modello di sviluppo, nuovo e diverso rispetto a quello dei padri, un modello di sviluppo che somigliasse a quello delle regioni più avanzate del mondo, orientato verso il superamento come quello della Sardegna, sullagricoltura, sullallevamento, sulle miniere e sulle piccole botteghe artigiane. Lesodo dalle campagne era già iniziato quando maturò la scelta dellindustrializzazione: braccianti, coltivatori diretti, piccoli proprietari, mezzadri si rifugiavano nel nord Italia, in Germania, Svizzera, Francia e Belgio e trovavano lavoro prevalentemente nelle industrie. A spingerli era il desiderio e la ricerca di una migliore qualità della vita per se stessi e per le loro famiglie come osservò Emilio Lussu in un discorso al senato il 15 novembre del 61, dove dice praticamente: «Un ardente desiderio di uscire da un ambiente così schiacciante, così chiuso e senza panorama, che consenta uno sguardo nel lontano geografico e civile senza vita vera»

 

 La classe politica si trovò di fronte al problema di assorbire la manodopera ex agricola, disposta ad emigrare piuttosto che ripiegare sui campi.

La gran maggioranza dei sardi domandava una rottura immediata col passato cosiddetto antico, la spinta verso lindustrializzazione e a realizzare anche in Sardegna il miracolo economico e sociale. Lo strappo col passato venne soprattutto con la scelta dellindustrializzazione, e industrializzazione fu. Erano gli anni della SIR di Rovelli, della Montecatini, della SNIA di Villacidro, della SARAS, dellENI oltre 25.000 buste paga di dipendenti diretti venivano percepite nellisola, e un indotto, un numero di dipendenti pressoché uguale se non superiore.

 Ottana nasce in questo contesto, 2700 dipendenti provenienti da oltre 50 paesi. Nei primi 10 anni avviene una sorta di rivoluzione sociale, politica, culturale oltre che economica: la giovane classe operaia, sotto i 30 anni di media, di fatto fa pesare in modo decisivo tutta la forza della classe operaia organizzata grazie ai grandi dirigenti sindacali come Salvatore Nioi, leader indiscusso di grande carisma sostenuto da dirigenti nazionali della Cgil come Luciano Lama, Garavini e Trentin. Erano gli anni di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro, del compromesso storico e della questione morale, ma anche di un passaggio storico per le zone interne, dove per le elezioni comunali oltre 170 lavoratori dellindustria di Ottana diventano amministratori comunali, e molti di questi anche sindaci. Erano gli anni delle rivendicazioni per i trasporti: i lavoratori di Ottana e gli studenti uniti, dopo giorni di blocco in tutti i paesi della Sardegna centrale, ottengono anche i pullman per i giornalieri e per i turnisti. Erano anche gli anni delle rivendicazioni per la casa e non a bocca di fabbrica, come volevano i vertici dellENI, ma nei paesi del nostro territorio, e così si è realizzato.

 

Spesso mi capita di ascoltare le testimonianze dei vecchi compagni e in tutti i ragionamenti vi è un denominatore comune, che posso sintetizzare così: il benessere economico che conobbe la nostra provincia, i nostri paesi, difficilmente si ripeterà. Negli anni 67-68, conosciuto anche come lAutunno caldo, i responsabili della SIR venivano nelle scuole e negli istituti professionali dellisola cercando candidati per i loro stabilimenti, sia a Cagliari che a Porto Torres. Nei nostri paesi prima che nascesse Ottana regnava la miseria e la rassegnazione, e lunico spiraglio era lemigrazione; i paesi si stavano spopolando, come avviene oggi, per via dellassenza di prospettive. Difficilmente la storia si ripete, però ho fiducia che le giovani generazioni un giorno possano di nuovo lottare e battersi per un futuro di speranze e di progetti da realizzare.

 

Questo testo che leggi lhai già usato, è uscito?

 

No

 

Torniamo al percorso tuo ora, perché questa è unacquisizione che tu hai fatto con una forte sensibilità politica, sindacale, culturale, la capacità di leggere gli avvenimenti, perché poi ti sei fortemente impegnato nella vicenda della fabbrica. Arriviamoci per tappe, dallimpresa esterna dello zio di tua moglie.

 

Praticamente quando cominciò questa battaglia delle imprese che iniziavano con i licenziamenti il sindacato ha iniziato a porsi il problema di come collocare queste persone. Tre anni prima, nel 1970, erano già partiti i corsi di formazione dove i futuri lavoratori di Ottana erano andati a fare i corsi di addestramento a Pisticci, Marghera, Ravenna per prepararli a reggere la fabbrica, e quindi praticamente 700 lavoratori vennero assunti dalle imprese esterne a seguito di un accorto tra sindacato, consorzio della Sardegna centrale, Chimica del Tirso, e i lavoratori potevano fare domanda per essere assunti. Io feci la domanda ed entrai nel primo corso delle imprese esterne, durò un mese e dopo venni destinato a un impianto di produzione che era lo stiro filo poliestere, che era limpianto, il reparto numericamente più grosso dello stabilimento, con 232 lavoratori. Il lavoro si svolgeva in turno, i turni a ciclo continuo dove due giorni lavoravi e uno di riposo, mattino pomeriggio e notte.

 

Dove ti presero per la tua formazione, o non centrava?

 

No, non per la mia professionalità, lì entravi come operatore chimico, poi ad adibirti a qualche mansione era entravi come operatore chimico però. E per un anno circa feci loperatore tessile in questimpianto, poi sai lesperienza, la pratica eccetera mi portarono ad occuparmi anche delle piccole manutenzioni di questi macchinari qui. Quando capirono quali erano le mie capacità mi adibirono alladdestramento di una parte dei lavoratori per svolgere queste mansioni qui; erano squadre in turno di 24-25 persone, io mi occupavo di una squadra di 4-5 persone dove dovevano intervenire come si fermava la macchina per piccoli interventi di manutenzione.

 

Poi nel 1978 si aprì la possibilità di passare in manutenzione, quindi feci la domanda e iniziò un altro corso di formazione e passai ad operare nel settore manutentivo, della manutenzione meccanica. Venni adibito a un reparto che era lo stiro fiocco, e lì in una squadra di 13 persone, nel reparto a fianco a dove avevo fatto loperatore tessile, ci occupavamo della manutenzione di questi impianti. Era un impianto dal punto di vista ambientale a mio avviso peggiore rispetto a dove ero prima, perché qui cerano proprio i fumi, perché cerano le lavorazioni ad alta temperatura, i macchinari intorno a 200 gradi, 220 anche, e poi cerano gli essiccatori dove passava la fibra umida che ventilavano per asciugare la fibra e vedevi questa nuvola di fumo che non era solo vapore acqueo, cera anche altro perché questi macchinari qui erano rivestiti in amianto, capito? Quindi

 

Dopo alcuni anni vengo nominato caposquadra, responsabile della parte meccanica di questo gruppo di lavoratori, fino al 96-98, e mi occupavo della manutenzione meccanica di quel reparto ma anche di quelli a monte, e del rapporto con lofficina centrale e così via. Dopo un periodo di lavoro mi ero permesso di dedicarmi anche allattività sindacale, i lavoratori mi eleggono come loro rappresentante, entro nellesecutivo del consiglio di fabbrica nel 1974, come Cgil da subito. Dopodiché questo mi dà una grande possibilità, quella di poter vedere la situazione non solo del mio reparto ma di tutti i reparti dello stabilimento, di poter girare, di poter vedere il sistema organizzativo aziendalepoi tieni conto che lazienda si era affidata anche alla società di studi organizzativivenivamo da una situazione di lavoro parcellizzato e si andava verso una struttura organizzativa composta dal gruppo omogeneo. Affidarono questo studio a una società che veniva da fuori, che dopo un anno di lavoro presentò questo progetto dicendo: «Qui possiamo arrivare alla creazione del gruppo omogeneo», ed eravamo nel 1981. Questo dava la possibilità al lavoratore di non fare sempre le solite cose ma di allargare il campo nellambito del proprio reparto a 360 gradi e di svolgere tutte le mansioni. Si arrivò al superamento del lavoro parcellizzato e questo creò le condizioni anche per un accrescimento professionale e culturale del lavoratore stesso. E quindi io mi occupai di questo nel 1981 per un anno, dedicandomi a tempo pieno, nellesecutivo del consiglio di fabbrica, a formalizzare attraverso accordi sindacali quello che poi i lavoratori avrebbero dovuto svolgere.

 

Perché ti eri appassionato a questaspetto, tu?

 

Mi appassionava il sistema organizzativo, e il lavoratore ritenevo io che fosse un arricchimento per il lavoratore stesso poter accrescere attraverso mansioni la sua professionalità. Ti ricordo che quellesecutivo per il quale io mi ero battuto era solo Cgil, perché ci fu uno scontro con la Cisl e con la Uil, dove praticamente io dicevo che il ruolo del consiglio di fabbrica non poteva essere un ruolo asservito alle segreterie provinciali o a quelli che venivano i precedenti che erano le commissioni interne, dove si stabiliva dallalto cosa dovevano fare Tizio e Caio. No, il consiglio di fabbrica devessere una struttura autonoma, deve gestire il lavoro della fabbrica, le problematiche dei lavoratori. Cisl e Uil non erano daccordo su questo, perché questi pretendevano, almeno la loro esigenza era quella di avere la rappresentanza, e io dicevo: «Ma la rappresentanza ognuno di noi ce lha, noi rappresentiamo i lavoratori nellinsieme, io non rappresento i lavoratori della Cgil o del io rappresento il lavoratore della fabbrica».

Quindi andammo in questa situazione di scontro a decidere la situazione dellesecutivo dove i delegati si esprimevano, e ogni delegato esprimeva un voto per uno dellesecutivo; in questa situazione non avevano la garanzia di avere: tre Cgil, tre Cisl e quattro Uil, erano i delegati che esprimevano la loro volontà. Siccome i numeri non erano soddisfacenti per loro, si dimisero. Si dimisero Cisl e Uil e da quel giorno avevamo un esecutivo Cgil. Decidemmo di andare avanti e andammo avanti: per un anno interno, ogni mattina, arrivando ai cancelli ci trovavamo un volantino di attacco da parte loro, a mezzogiorno dalla Cisl e di mattina presto dalla Uil. Quindi attacchi sferrati però i lavoratori, io andavo alle assemblee, parlavano tutti, Cgil Cisl e Uil; non cerano questi atteggiamenti da parte dei singoli, erano solo le sigle quindi questo andò avanti.

Alla fine dei salmi riuscimmo a concludere tutta questa vertenza e tutti questi accordi e i lavoratori ne trassero un grande beneficio: erano tutti sistemati, sapevamo che in quel reparto ci andavano 29 persone e che linquadramento era questo, che la figura era quella delloperatore unico di quellimpianto, non cera più il quadrista eccetera, ma esisteva solo la figura del lavoratore che operava in questo reparto. Arrivando alla conclusione, praticamente lultimo accordo era sul salario: allora successe una cosa straordinaria, ossia che Cisl e Uil, per non restare tagliati fuori, sottoscrissero gli accordi che ci avevano contestato per un anno, e firmammo tutti e tre laccordo assieme, nel 1981.

 

Lutilizzo degli impianti era irrisorio, a parte lo stiro filo che produceva al massimo da quando era partito, ma cerano altri reparti come lacrilico che viaggiavano al 25-30% della loro potenzialità. Però dopo questi accordi ci fu un rilancio dellattività produttiva e in questo rilancio… tieni conto che la guerra chimica era sempre in atto tra Montedison, ENI eccetera. Montefibre aveva linteressa a che producesse Marghera a pieno regime, e quindi cera questa situazione di scontro continuo, e nonostante si dicesse che Ottana era un punto strategico negli accordi, poi dal punto di vista reale non era così. Allora dopo qualche anno ci fu unazione anche da parte di ENI dove Montefibre praticamente uscì fuori dal contesto e lENI aveva iniziato a produrre a pieno regime. I conti venivano bilanciati pensa a un reparto come lo stiro fiocco dove ero io, che marciava di norma a due linee, marciava con quattro linee! Cera una richiesta di mercato e i conti venivano risanati, però come diceva anche il sindaco di Ottana, Mario Lai, diceva che i dirigenti dellENI lo avevano informato: «Questa è una fabbrica che durerà 20 anni, non di più», però successe che si iniziarono a fare degli investimenti che portarono a un aumento della produzione. Abbiamo avuto una classe operaia e dei tecnici che hanno dimostrato una grande valenza, modificando anche gli assetti prestabiliti a suo tempo: tieni conto che la potenzialità delle linee fu aumentata, addirittura in certi casi raddoppiata.

 

Nell84 iniziano poi i problemi. La chiusura del filo poliestere, il primo impianto dove ero andato a lavorare; iniziano i problemi della prima cassa integrazione con 350 lavoratori fuori dai cancelli. Il numero si riduce, passiamo da tu pensa fino al 1984 circa 2000 dipendenti; siamo partiti con 2758 nel 74; nel 1983 eravamo 2098; nell84 350 lavoratori fuori, in cassa integrazione, nell85 la stessa cosa, fino al 91. Nel 91 avevamo già perso altri 500 lavoratori e siamo scesi a 1657. Nel 94 eravamo 1275. e due anni dopo, nel 1996, lENI inizia con il discorso del cambio di strategia e dismissione: viene ceduto nel 96 limpianto poliestere, poi venne ceduta allora nel 96 ci fu la vendita della polimerizzazione a Equipolymers Inc. International; sempre nel 96 viene ceduto lacrilico e rientra Montefibre con la Landa; un anno dopo, a dicembre del 97 viene comunicata la chiusura del fiocco poliestere; a giugno del 98 praticamente i lavoratori messi fuori. Nel 98 viene formalizzato il discorso del contratto darea. Ne ho saltato una te lho detto che nell84 cè la nascita della Cooptex?

 

Nel 2001 viene venduta la centrale termoelettrica ad AS Energia, una società americana. Nel 2003 invece cè la chiusura di Montefibre. Nel 2004 invece cè la vendita di OttanaEnergia al gruppo Clivati; nel 2010 la vendita di polimerizzazione TA e TPA lacido tereftalico a Ottana Energia Indorama. nel 2014 cè la chiusura di Ottana Polimeri.

 

Poi comunque noi abbiamo sempre seguito dal punto di vista sindacale come consiglio di fabbrica e come esecutivo in quegli anni anche gli avvenimenti della zona industriale, della Metallurgica del Tirso. È uno scempio guarda, vedere quello che è successo è uno scempio Metallurgica del Tirso chiusa nel 78 con 470 lavoratori fuori, la BetaTex di Bitti, 180 lavoratrici fuori, la Ferretti  Costruzioni 500 lavoratori, Tirsotex uguale, Solis di Siniscola, Rosmery, Marfili di Siniscola, Calzificio Queen di Macomer con 400 occupati chiuso nel 2012, Cartiera di Arbatax 64-96, fallimento nel 97 con 800 occupati, le miniere di Orani Soim, Galisai ecc idem, anche Gadoni chiusa nell87 e quella di Lula nel 97; la Legrer di Ottana, inaugurata nel 90 e chiusa nel 94. Di buono noi avevamo avuto 20 miliardi a fondo perduto per la costruzione delle case dei lavoratori di Ottana, linvestimento più grosso fatto dalla Cassa del Mezzogiorno, pensa a Cassino 12 miliardi, noi 20, Pomigliano Alfa Sud 9 miliardi, Fiat a Termoli 8 miliardi, Crotone 8 miliardi. Una cosa pazzesca.

 

Ma il ciclo di vita delle industrie è spesso limitato nel tempo, no? Che cosa succede però nelle realtà industriali vere, che si va avanti, si riconverte, che?

 

Allora, noi secondo me abbiamo avuto una grande dirigenza sindacale fino agli anni 80, poi il sindacato ha svolto un altro ruolo, non abbiamo avuto una classe politica forte che fosse in grado di progettare anche il futuro, no? Così come lo era stata la classe politica degli anni 60, i Soddu, i Ligios, anche Ariuccio Carta ma la classe successiva praticamente non ha proposto nulla, ha gestito lesistente.

 

Questo è lassurdo, una classe politica e sindacale che non è in grado di studiare, di affidarsi anche ad esperti per capire quello che sta succedendo. E il risultato che noi oggi registriamo è frutto di questa incapacità a mio avviso. Se tu guardi, ancora oggi ci sono le stesse persone che stanno rappresentando queste organizzazioni, non ci sono parole

 

do con il capo del personale dovevo fare proprio questo lavoro di archiviazione, di lettura dei giornali, trascrivere gli articoli importanti inerenti l’industria che poi venivano catalogati e conservati, giustamente. Poi di tutta questa storia per quanto riguarda i sindacati e queste cose di cui si è occupato Andrea lui ha proprio un archivio molto importante.