La conversazione con Saverio Ara è una delle prime, si svolge all’aperto in un angolo del novenario di Santa Maria, nella campagna di Aidomaggiore affacciata sulla valle di Canales. Saverio è uno dei più conosciuti fra gli operai e tecnici della fabbrica di Ottana, sin dalle origini nel consiglio di fabbrica, spesso indicato per incarichi sindacali di rilievo e candidature nel partito al quale è appartenuto, il Pci. E’ rimasto in fabbrica sino alla fine di questa, sperimentando infine la direzione di una cooperativa per le seconde lavorazioni.
UC: Noi vorremmo farlo a tappeto, se fosse possibile tutti, farci raccontare da tutti l’esperienza molto biografica. Poi ovviamente vengono fuori anche le proprie opinioni, non c’è dubbio, però…ci interessa proprio il racconto della…
Della gente che ci ha lavorato.
UC: Sì, della vita. Dalle origini, il paese d’origine, le condizioni. Insomma, tu non avrai problemi a raccontare (ridono). Dove sei nato, quando…
Sono nato ad Aidomaggiore nel 1946, ho quindi 74 anni che compio a dicembre. Ho cominciato a lavorare a Ottana dopo il corso a Busto Arsizio dal novembre ‘70 al luglio del ’71, poi a Milano dal ’71 al dicembre del ’72 poi a Marghera fino al febbraio del ’74. Da febbraio del ’74 a Ottana.
UC: Però torniamo a Aidomaggiore. In che famiglia sei nato? Di che condizioni erano? Tutta la tua infanzia…
Mio padre era brigadiere di finanza in pensione, mia madre casalinga, diciamo che per quel periodo noi eravamo una famiglia del ceto medio, abbastanza tranquilli. Mio padre ha fatto due guerre, quella del ’15-’18 nella guardia regia, in quella del ’40-’45 è stato richiamato per la dogana di Quartu Sant’Elena prima e di Orosei dopo. Ho due sorelle, una laureata in lettere, Liliana, Maria Antonietta invece diplomata segretaria di azienda anche lei ha lavorato a Ottana nel centro meccanografico. Io sono diplomato geometra, quando mi hanno chiamato a colloquio nel luglio del 1970 per Ottana, avevo fatto la domanda, ero iscritto all’università in biologia, non avevo ancora dato esami. Mi hanno preso al corso di Busto Arsizio che era in pratica la trasformazione di geometri in periti tessili, e ci hanno fatto fare in due mesi praticamente gli ultimi due anni della scuola tessile all’istituto tecnico Facchinetti di Busto Arsizio.
UC: Di Ottana come avevi saputo?
Avevano fatto i bandi pubblici, in tutto il territorio compreso Aidomaggiore e a quel punto ho partecipato. Io avevo 22 anni, mi ero diplomato nel 1969.
UC: Come te la ricordi l’infanzia, l’adolescenza, gli anni di gioventù?
Io da giovane ero come adesso, rivoluzionario – ride – devo dire che per tutto questo i miei genitori non potevano sopportarmi, mi hanno mandato in collegio, quindi potete immaginare… Io ho fatto i salesiani, prima e seconda media dai salesiani di Arborea, mi hanno rimandato, non son tornato all’esame di riparazione di settembre, non ci volevo andare, e allora hanno accettato purtroppo la sconfitta i miei vecchi e mi hanno mandato a scuola a Ghilarza, e lì ho proseguito poi con i geometri prima a Cagliari poi a Oristano, prima seconda e terza a Cagliari e quarta e quinta a Oristano. La quarta geometri me l’hanno fatta ripetere perché avevamo occupato l’istituto, insomma le traversie degli anni ’60, nel ’68, avevamo occupato l’istituto Lorenzo Mossa per una ventina di giorni e quindi, sai, i capibanda ci avevano tutti messo in croce, mi avevano lasciato quattro materie a settembre, avevo anche studiato ma poi… ma mi aveva lasciato le materie base, figuriamoci.
UC: Siamo già in tempi di orientamento politico…
Io nel 1966 ero iscritto al Psiup, nel 1969 mi iscrivo al manifesto.
UC: Quali erano i punti di riferimento fisici?
A Oristano c’era quel compagno che poi è morto, che era senatore del Pci, Pierino Pinna, io però avevo un punto di riferimento di Aidomaggiore, Emiro Ledda, è morto anche lui, che era sindaco di Fordongianus, e insegnava alle scuole dentro il carcere di Piazza Mannu, quindi tramite anche lui probabilmente, però le idee sono venute già da Cagliari quando facevamo le manifestazioni pro Cuba nel 1960, io ero già lì, il primo anno.
UC: E l’Aidomaggiore di allora come lo descriveresti?
Aidomaggiore allora era prettamente pastorale, poca agricoltura, molta pastorizia, c’erano 22mila capi ovini allora, quando abbiamo vinto le elezioni nel ’75 ce n’erano 16mila, aveva già diminuito dal 1965-’66 in dieci anni aveva diminuito di seimila unità il numero delle pecore, vacche ce ne son state sì ma sull’ordine di duemila, duemila e cinque non di più, era un paese di allevatori di pecore. I terreni di Aidomaggiore erano ottimi e venivano usati per il pascolo, devo dire che in quel periodo c’era gente benestante, poi tu pensa il territorio di Aidomaggiore era di 43 chilometri quadrati, era vastissimo, adesso una parte di sedilesi hanno comprato tanti terreni, allora però erano prevalentemente in mano agli aidomaggioresi, eravamo 750 abitanti in quel periodo pensa un po’ cosa vuol dire 43 chilometri quadrati, ci vuoi fare quello che vuoi. Era un periodo abbastanza critico, come in tutti i paesi del centro Sardegna, spiccava anche il lato deliquenziale del sistema e meno male che si è riusciti attraverso l’innovazione – forse ha contribuito anche Ottana a questa cosa, a modificare l’atteggiamento, anche la rivalsa verso lo stato che avevamo e avevano i miei compaesani e anche gli altri paesi.
UC: Il clima culturale e politico com’era?
E’ un paese democristiano, noi avevamo portato quella ventata rossa nel ’75, abbiamo vinto con una lista di sinistra, sindaco comunista vicesindaco io, comunista del Pci non di quelle cose che ci sono adesso (queste specie di cose sedicenti di sinistra) e l’amministrazione ha portato… nel ’75 abbiamo vinto, nell”80 abbiamo perso, nel ’85 abbiamo rivinto e ci siamo rimasti vent’anni, con Angelo Saba, Tino Serra, è stata una bella esperienza poi succede come succede dappertutto che gli ideali si parcheggiano, gli ideali si abbattono, non c’è più la voglia di andare avanti e la politica perde quell’essenza superiore che è quella del pensiero, dell’elaborazione, dell’ideale, del mettersi a confronto con altri, quello che non c’è adesso.
UC: I ricchi di Aidomaggiore non erano soltanto mediamente ricchi…c’erano famiglie importanti che avevano già intrapreso la strada della città con figure professionali importanti…
C’erano i Masala per esempio, di avvocati. C’erano grandi famiglie che si sono poi trapiantate a Cagliari e hanno fatto la loro figura.
UC: Lo percepivi come opprimente?
No assolutamente, tra l’altro con queste persone abbiamo sempre avuto un buon rapporto, il rapporto tra famiglie era buono, noi siamo sempre stati una famiglia al di fuori del sistema come lo posso dire, di rivalsa, mio padre era molto benvoluto, perchè negli anni subito dopo la guerra lui fece il segretario della Coldiretti e nei periodi di crisi arrivavano in paese camionate di granturco, di tutto, per cui gli volevano bene, era abbastanza sociale, non siamo mai entrati – ma anche io – mai entrati nelle questioni di un certo tipo, conflittuali tra famiglie, abbiamo avuto sempre rapporti buoni con tutti. Nonostante il mio….in quel periodo io ero abbastanza tosto. Mi conosci.
UC: Torniamo a Ottana. Con forte consapevolezza l’hai fatta la scelta.
Sì, con consapevolezza. Tra l’altro non avevo più voglia di studiare, già non son stato mai uno studente modello, tra l’altro lo sa tutto il mondo creato quindi non sto dicendo una novità – nel senso che mi piaceva partecipare alle riunioni, andavo, facevo vita politica già da ragazzo.
UC: La politica era già una dimensione da Cagliari?
Dopo le medie che sono andato a Cagliari ho iniziato. Pensa una famiglia di democristiani, mio padre e mia madre tutt’e due democristiani, io la pecora rossa…
Allora a Cagliari sopratuttto dopo gli attacchi degli americani noi ragazzini facevamo manifestazioni in piazza, si vedevano fiumi di giovanotti che andavamo in piazza pro Cuba, poi Che Guevara..il Che. Poi la guerra del Vietnam, altra… scioperi da tutte le parti. Scuola, e quale scuola! Quello che manca oggi, un po’ di forza ideale, per farci vivere una nuova speranza, speriamo, prima e miche morrere…
UC: Quindi avevi l’idea che nasceva a Ottana qualche cosa di più del solo posto di lavoro…
Questo no. Io la consapevolezza vera l’ho avuta quando sono stato trasferito da Milano a Porto Marghera nel ’72 e mi sono accorto cos’era la fabbrica, perché sino ad allora avevo fatto la scuola al Facchinetti e abbiamo dovuto studiare per forza, stavi studiando per un obiettivo quindi dovevi farlo, non era il diploma, era il posto di lavoro e infatti sono andato bene. Poi mi hanno mandato a Milano all’ufficio tecnico di Montedison, di Montefibre. A me e a Renzo Cadeddu, siamo stati gli unici ad andare lì, e ci hanno messo a lavorare su progetti per Ottana, a disegnare, prima all’ufficio progetti poi a me mi hanno mandato al processo e quindi ho fatto anche sketch e disegni proprio sulle linee produttive di processo per Ottana, non ti rendevi conto perché il meccanismo era così avulso dalle cose esterne, per cui dovevi consegnare tavole, e tavole, bisognava disegnare, bisognava per forza disegnare, a noi ci avevano preso perché eravamo geometri mica come periti tessili. E arrivati a Marghera la musica cambia. C’erano altri ottanta sardi.
UC: A milano quanto rimani?
Da settembre ‘71 a dicembre ‘72. Il 12 dicembre mi hanno trasferito a Marghera, per fare tutta l’esperienza, l’addestramento per capo turno che era la finalità per la quale mi avevano assunto e mandato a Busto Arsizio per fare la riconversione tecnica da geometra a perito tessile. E quindi arrivo a Marghera non era più Milano, era un’altra cosa, tu vedevi tutta questa gente in fabbrica, c’erano quarantamila operai, il petrolchimico – c’era Montefibre – dove mi avevano mandato c’erano più di duemila, ma al petrolchimico erano sui quindici ventimila. E poi Mira Lanza, e poi Loreal e decine decine di altre aziende e tu facevi chilometri dalla Loreal in pullman e vedevi fabbriche, fabbriche, e solo fabbriche, un altro mondo. Poi scopro un giorno che fanno gli scioperi questi qui. Io fino a quel momenti scioperi, solo quelli degli studenti. E che scioperi! blocchi stradali e gomme bruciate, fuochi dappertutto dalle cinque di mattino, chi cercava di passare lo buttavano a terra. E allora ho scoperto un’altra cosa, un altro mondo. Che mi è piaciuto, si mi è piaciuto. I sardi mi hanno eletto a gennaio rappresentante degli ottanta sardi che eravamo lì a Montefibre e quindi nella rappresentanza sindacale, eravamo tutti iscritti, chi alla Cisl chi alla Cgil, e abbiamo vinto noi.
UC: Avevi già un contratto?
Quando sono andato a Marghera avevo il contratto, perché a settembre del ’71 ci hanno assunto. E lì comincia la nostra battaglia anche perché ci stavano cambiando il contratto questi dell’Anic e lì abbiamo iniziato a fare gli scioperi anche noi. In quel periodo – 1972-’73 – l’Anic ci voleva appioppare il contratto delle fibre tessili, che significava una riduzione del salario di circa 250mila lire al mese, in media, mentre noi…dicevamo siete un ente pubblico vogliamo il contratto pubblico. Questo è stato il ragionamento fatto attraverso un coordinamento che avevamo fatto prima a Vercelli poi a Milano con tutti i sardi che c’erano nella penisola, quindi Gela, Matelica, fino a Pisticci, Porto Marghera, Vercelli, Ivrea, Pallanza, e Milano. In quella sede avevamo deciso di farci rispettare, in questo modo abbiamo iniziato a fare gli scioperi a scacchiera, compresa Ravenna, che era molto attiva. A Ravenna vinceva sempre la Cisl, sempre, caso strano, città rossa, sindacato bianco, eh sì ci è costata una fatica non indifferente coinvolgere gli operai di Ottana nella battaglia complessiva per il contratto pubblico, però alla fine ci siamo riusciti e alla fine dopo un anno e più a dicembre del ’73 passammo al contratto pubblico, con grande nostra soddisfazione e con grande delusione da parte di alcuni dirigenti uno dei quali addirittura venne in assemblea per comunicarcelo, dicendoci, un certo signor Piat, avete vinto ma non è detta l’ultima parola, questa la pagherete cara. E io gli ho detto: d’ora in poi però si ricordi, Piat, che invece di vederci a Marghera a Pisticci, ci vediamo a Ottana e si ricordi che lì sarà diverso, il territorio per voi sarà diverso, non è Fiat volontate vostra gli avevo detto e mi aveva guardato male.
Poi le cose sono andate come sappiamo, io sono stato trasferito a Ottana nel ’74 a febbraio, sono rientrato per lavorare in filatura acrilica, un reparto fra i più grandi dello stabilimento con 150 persone, con 32 persone per turno, impianto enorme. Io capoturno, inizio a fare il capo turno perché dovevo fare il capoturno, poi tra una cosa e l’altra mi eleggono delegato di reparto, vinciamo, stravinciamo le elezioni, su cinque delegati ce ne prendiamo cinque. Allora c’erano le votazioni bulgare! E dopo questo entro nell’esecutivo del consiglio di fabbrica e contemporaneamente nel ’74 entro nella segreteria provinciale della Filcea, dei chimici della Cgil, della quale poi divento segretario responsabile nel ’77, fino all’83.
UC: Era il filone sindacale e politico. Ti destinarono a fare il capoturno con un corso con cui cambiava la specializzazione. Imparasti a fare che cosa?
In pratica da geometra mi insegnarono a fare il perito tessile, quindi a conoscere le fibre, la fibra acrilica, la poliestere, la poliammidica, le fibre artificiali, tutti i processi di produzione.
UC: Come te la sei vissuta questa esperienza?
Ma lo sai che mi piaceva?! Lì all’Istituto Facchinetti, ci hanno crepato, facevamo orari di lavoro, otto ore al giorno, sette, fino al venerdì. Rimaneva anche poco tempo per studiare, quindi dovevi stare attento alle lezioni, però era bello perchè… vuoi che i professori erano preparati lampu! erano bravi, erano bravi e riuscivano a farti partecipare. Chimica, chimica organica, chimica inorganica, e che cosa non avevamo fatto, mica dovevamo diventare professori di chimica eppure chimica dall’A alla Z. Cosa che io chimica l’avevo fatta ai geometri, prima e seconda geometri, ma se mi dicevi com’era la formula dell’acqua mica me la ricordavo, adesso la so ancora che è H2O me l’hanno inculcata, capito? Un’esperienza molto positiva, e ne ero uscito bene, ne ero uscito con la media del 7 a differenza di come andavo… che poi anche all’esame di maturità avevo preso 7 di media, non ero andato così male, anche perché il professore di topografia non mi voleva più vedere -ride – quindi mi h licenziato, era lui il commissario interno. Poi siamo rimasti grandi amici. E quindi questo corso di Busto Arsizio ci è servito sicuramente per fare il cambiamento professionale da geometra a perito tessile con le conoscenze sulle fibre in termini teorici, e l’addestramento pratico come capoturno a Porto Marghera, in termini pratici. Quando siamo arrivati a Ottana a me non è costata nessuna fatica andare a fare il capoturno né tantomeno avviare le macchine o cambiare le produzioni, era una cosa che veniva spontanea, normale, ci sono le tabelle di marcia, applichi quelle, sapevamo cosa dovevamo fare, sapevamo perché, e a cosa serviva.
UC: Ti ha dato questo immagino, molta concretezza e autorevolezza in fabbrica ovviamente, la capacità tecnica.
Eh sì mi volevano bene, molto. Ma forse è il mio carattere, perché io a differenza di altri miei compagni del sindacato, c’era gente ad esempio che aveva paura di andare in officina centrale a fare le assemblee, anche se si andava in gruppo con l’esecutivo, io andavo sempre solo, sempre solo. L’officina centrale era il nucleo più forte dello stabilimento, perché erano circa trecento lavoratori tutti a giornata, quindi quando tu facevi un’assemblea ci trovavi trecento persone e dovevi stare attento a quello che dicevi niente barzellette, perché c’era gente che aveva le palle quanto me e quanto loro, quanto gli altri. Io conservo tutt’oggi carissimi compagni e carissimi amici dell’officina. Che non ero manco tanto delicato io, perché le cose le dicevo senza tanti camuffamenti, io dicevo quello che era, non dicevo bugie, non mi interessava.
La prima occupazione della palazzina direzionale l’ho fatta io, eh. L’ho fatta nel 1975, mica dopo tanto, con l’acrilico e…e fu in quell’occasione che -questa è bellina, te la racconto- che il capo del personale, Valle, telefonò a Salvatore Nioi che era il mio segretario generale della Cgil – un uomo di grande spessore, non ce n’è più così, purtroppo – e disse: il vostro compagno Ara, alla testa di una masnada di trecento persone e al canto di Bandiera rossa sta occupando la palazzina direzionale. (ride) E Salvatore gli disse: perché dottor Valle cos’è successo? È successo che abbiamo dovuto mettere in ore improduttive l’acrilico perché abbiamo una contestazione su uno sciopero. E cosa volevate, che Saverio vi cantasse Biancofiore? Quindi trattative estenuanti, immagina. Quindi quando c’era da prendere posizione io lo facevo, però non è che potevi essere ogni giorno attaccato alla palazzina direzionale, alla sedia del dottor Valle o del direttore dello stabilimento, per carità. Allora andavi a dirgli in officina in assemblea generale o dappertutto, badate che usiamo quest’altra strategia vediamo dove arriviamo ma non è che possiamo vivere accampati in palazzina direzionale perché così quelli se ne vanno e ci fregano anche, oltretutto, perché dichiarano lo stato di inagibilità politica e produttiva dello stabilimento e se ne vanno. Allora costava fatica, molte volte ho fatto passi indietro, quando era necessario e non me ne sono mai pentito poi tu lo sai che io mediavo anche…non ero solamente uno che partiva alla don Chisciotte.
UC: Eh certo, era la tua forza, nelle relazioni interne ed esterne. Non hai scritto mai, Saverio, di tua iniziativa?
Io ho scritto saranno una ventina o venticinque pagine, una…una mia interpretazione della vita dello stabilimento di Ottana per il centenario della Cgil, feci un intervento e scrissi queste venti venticinque pagine che non lessi tutte, ne lessi una parte poi saltai alla fine.
UC: Le hai mai pubblicate?
No… Ma io ho tutta la storia di Ottana, io ho tutti i volantini, ho tutti gli articoli di stampa di tutti i giornali, dal 1975 al 2001. Ho una bella raccolta, e infatti adesso devo pensare dove darla questa cosa, cosa me ne faccio, a qualche biblioteca, a Ottana, non lo so ce l’ho scannerizzata, messa su tre dischetti.
UC: Noi con questo progetto volevamo costruire un museo perché vorremmo chiedere il sostegno delle amministrazioni, la troviamo un’amministrazione che ha a cuore la storia e la memoria, magari a Ottana. Tra l’altro sta per uscire il libro di un giovane studioso di antropologia di Ottana per l’editore Donzelli che mi ha detto che a Ottana sta sorgendo un gruppo di giovani che con un’associazione culturale stanno facendo sotto forma di performance, di installazioni, la raccolta di oggetti della fabbrica conservati dagli operai e messi in piazza.
Tra l’altro io ho conservato moltissime amicizie anche in paese, non ero quel lavoratore che finito l’orario di lavoro se ne rientrava al suo paese, io spesso mi trattenevo e facevo anche comunità con Ottana.
UC: Tu arrivi a Ottana e trovi che realtà? Anche dal punto di vista dei numeri, fisicamente…che impressione ti ha fatto allora? E che tipo di conflittualità c’era allora? Che problemi c’erano che vi mettevano già nella condizione di occupare la palazzina?
Il problema di Ottana nasce da quando è nata la fabbrica. È nata debole, con la crisi del Kippur, la crisi petrolifera, son stati immediatamente ridimensionate le strutture degli organici, se ne dovevano assumere tremila e cinque, la massima forza in organico è arrivata a duemila settecento, con quelli indiretti – non c’entrano nulla, sono le imprese esterne che facevano manutenzioni, elettrica strumentale e meccanica – Di conseguenza..tu pensa che io son rimasto in impianto fino al ’76, poi mi hanno portato al tecnologico dell’acrilico, all’ufficio tecnologico per seguire proprio la filatura, e le macchine che erano allestite erano 10, nel ’76 ne sono andate in produzione massimo sei macchine, quindi una struttura che lavora al sessanta per cento, anche se poi hanno fatto grandi salti di qualità perché hanno aumentato la produzione, hanno fatto girare di più le macchine, anche qualitativamente hanno migliorato, però intanto rimaneva l’handicap del fatto che l’impianto non era utilizzato al massimo. E poi tutto il gioco tra le fabbriche di fibre, tra l’Italia e l’Europa, lo scontro in famiglia, tra noi e Pisticci e Porto Marghera, si è passato anche quello. Tutte cose che sono nate assieme e hanno determinato…un casus belli, compresa la trattativa sugli assetti degli impianti durante gli scioperi. Esempio, uno scontro terribile che è quello per l’assetto del tereftalico, loro lo volevano in marcia al cento per cento, durante gli scioperi abbiamo detto no, al cento per cento no, tu metti a marcia lenta. Ma la marcia lenta – ha detto – no, il prodotto non esce buono come…Allora fermalo! E quindi scontri, scioperi. Poi mancano i soldi. Quando noi facemmo la conferenza di produzione nel ’77, a febbraio del ’77, noi elencammo in quella relazione, che lessi io ma la facemmo con Vitzizzai, con Addis e con Delussu e con Angioi, non è che l’abbia scritta solo io, ci siamo separate le parti, ce le siamo scritte e poi le abbiamo assiemate, io l’ho letta in assemblea generale. In quella relazione che feci c’erano scritte tutte queste cose, i punti di debolezza, e come potevamo andare ai punti di forza perché l’impianto era nuovo eccetera eccetera. Ma l’Eni non ci ha mai dato risposte nel merito. Secondo me l’Eni è stata costretta a fare quell’impianto ma la vocazione delle fibre non ce l’aveva, manco a Pisticci ce l’aveva, infatti appena ha avuto l’occasione prima ha fermato Pisticci poi ha fermato Ottana. Poi anche da loro, la parte padronale mica erano troppo delicati. Quando avevano stornato 33 miliardi dai fondi delle ferrovie, cosa che a me francamente non era piaciuta, anche se non pagavano da due mesi e noi avevamo occupato lo stabilimento, eravamo circa un mese con lo stabilimento occupato, tra l’altro io – l’avevo detto con i compagni più cari che avevo- ho detto non può funzionare che noi sindacato facciamo da spalla a questi per fargli avere i soldi di altri, ma è immorale, non si può fare una cosa del genere, poi alla fine saremo additati come quelli che affossano altre cose perché se ne avvantaggino loro. E così è stato, così è stato. Anche se Pietro in quel periodo mi diede ragione,, mentre Angioi no. Per cui le cose son continuate ad andare così ma abbiamo pagato. Poi si paga come rappresentanza, non è che…
UC: Questi sono i primi anni dal ’74 al ’77. Tu dici nasce già debole, le ragioni del conflitto erano numerose. Come ricordi invece la classe operaia, che tipo di mondo avevi trovato? Perché eri riuscito a interpretarlo così rapidamente bene, ci appartenevi? E anche la selezione della classe dirigente come si formò e come vi ci trovaste?
Ma lì c’erano due tipi di operai, la classe operaia di Ottana era bi-componente, c’era una componente, di oltre un migliaio di lavoratori, che veniva dalle esperienze continentali, in tutte le fabbriche del continente, chi più chi meno veniva quindi con una esperienza operaia di battaglie sindacali negli altri posti. Certo quelli di Gela e Pisticci avevano poco da raccontare delle lotte degli altri – ma le lotte le fecero loro però lì eh, attenzione, le fecero i nostri compagni. Quando a Pisticci bloccarono i cancelli, i nostri erano un centinaio, titolò il giornale della Basilicata: Cento pastori sardi bloccano tremila pecore lucane. (ride) Quindi non è che lì lotte non ne facessero i nostri compagni, le facevano eccome. Però sai, tutti noi che eravamo fuori veniamo con delle esperienze perché le abbiamo vissute, per due anni, tre anni, insomma. E poi c’erano quei compagni che son passati dalle imprese, lavoratori passati dalle imprese, son stati circa cinque corsi perché il sesto non ce l’hanno fatta a farlo partire per sopravvenute crisi di settore, sempre la crisi di settore.
UC: Venire dalle imprese cosa voleva dire?
Nel 1973, il 22 dicembre del ‘73, il nostro segretario era Piero Contu, te lo ricordi Piero, di Bitti, facemmo un accordo sindacale con l’Eni per cui tutti i lavoratori delle imprese esterne che non raggiungevano i cinquant’anni di età venivano inseriti nelle produzioni dello stabilimento chimico attraverso un passaggio di corsi di formazione. Per cui…non meno di mille persone, ottocento o mille son state assunte in quel periodo dalle imprese. Quelli che avevano costruito. Perché man mano che finivano i lavori quelli o venivano licenziati, o venivano licenziati. Non c’era alternativa. E questa cosa ha salvato buona parte…anche se sollevò qualche polemica perché quelli che avevano cinquantun anni dicevano: perché cinquanta e non cinquantuno? Abbiamo fatto capire che una regola ci doveva essere, altrimenti poteva essere assunto anche quello di ottant’anni, e in un impianto chimico uno di cinquant’anni è già grande, in certi impianti chimici bisogna fare attenzione, non stiamo mungendo un branco di pecore, è un’altra cosa. Incidenti, morti – e i primi anni ne son capitati anche a noi purtroppo, quando son morti i tre compagni di Bolotana dentro il silos dell’acido tereftalico perchè non bonificato a regola d’arte, c’era ancora residui di azoto dentro il silos, allora quello è un esempio di come le cose non dovevano essere prese alla leggera.
UC: Questa diversa origine determinò che differenza?
Il fatto che l’esperienza, ma anche nella carriera professionale, quelli che eravamo fuori avevamo fatto tutti salti di qualità e siamo andati a occupare cariche abbastanza importanti nel contesto dell’azienda, chi caporeparto chi direttore di stabilimento Gianluigi Manca per esempio ma anche l’ultimo che c’è stato, Gianfranco Righi. Cioè sardi, nati a Ottana e direttori di stabilimento. Addirittura Gianluigi Manca poi è stato anche alla fine della sua carriera per qualche anno è stato direttore generale dell’Eni agricoltura. Insomma, stiamo parlando di persone a livello di manager, capicentrale, quadri di grande e spiccata capacità tecnica, gente in gamba. Quindi nei lavoratori che sono passati dalle imprese la cultura industriale non c’era. Unu muradore est muradore, per quanto intelligente tu sia se non fai corsi e addestramenti specifici è difficile entrare in un meccanismo come la chimica perché non devi capire solo l’andamento produttivo, devi capire il processo, sennò cosa ci stai a fare? E il processo è chimica. E anche nelle battaglie sindacali, se notiamo poi i dirigenti che hanno spiccato più… le ali – poi si sono abbassate anche quelle (ride) – comunque per tutti – Vitzizzai era ingegnere, ingegnere aeronautico, veniva dal Politecnico di Torino, uno che le battaglie ce le aveva nella pelle, una persona molto valida. Angioi, oranesu, niente di particolare, ragioniere, uno che però sapeva far presa in mezzo alla gente, diciamo che fin quando lo abbiamo sostenuto noi è andato avanti poi quando l’abbiamo lasciato se n’è andato con la controparte, con l’Insar a lavorare… (ride) I socialisti allora facevano il doppio gioco (ride). Anche Delussu era socialista, ma una diversa struttura. Antonio era bravo, poi era un grande dirigente, purtroppo è morto molto giovane, è morto di tumore. Lui se n’era andato a lavorare a Roma poi all’impianto di depurazione vicino a Mantova. Poi è rientrato col tumore…
UC: Te li sei ritrovati lì?
Io li conoscevo già dagli incontri che facevamo in continente. Pietro lo consocevo già da tempo, la stessa cosa Antonio. Con Egidio Addis abbiamo fatto il corso insieme, anche Egidio è una bella testa, in gamba. Poi c’era Gianni Nieddu, ma è venuto dopo.
UC: La realtà della fabbrica era grossa…
Duemila e settecento chimici, e poi ci saranno state un mille milleduecento delle imprese esterne. Poi la Metallurgica che con i fratelli Orsenigo aveva fatto subito buco. Erano seicento i lavoratori alla Metallurgica del Tirso.
UC: Come eravate visti voi all’esterno? Perché a un certo punto un elemento di forza notevole di questa nuova classe della Sardegna centrale era la vostra attenzione verso l’esterno. È epica, ne parli sempre anche tu, ma ho visto che persino Dorino ha ricordato quella battaglia lì, perché fu il suo primo giorno di lavoro a Ottana, lo sciopero per i pullman. Non era egoistico l’interesse, perché la gente si arrangiava ad andare in fabbrica e a un certo punto poi i pullman trasportavano gli operai ma voi volevate aprire agli altri. Apparentemente poco significativa, non sembra una cosa di grandissimo significato, in realtà lo fu. Cioè avevate a quel punto forse spostato gli studenti con decisione verso di voi, le simpatie verso di voi. L’opinione pubblica esterna ha vissuto diverse fasi, vorrei che tu ci ragionassi in relazione a quel che succedeva in fabbrica e come lo vivevate voi, con la consapevolezza politica che avevate. Prima eravate invidiati, considerati privilegiati, il salario dava questa…
la sicurezza del lavoro più di altri.
UC: A un certo punto anche un po’ detestati, in quell’ambiente agropastorale facevate un po’ da contraltare, poi si diffusero voci anche al di là del merito sull’assenteismo, gli operai assenteisti diventavano in ciascun paese dei simboli della negativa esperienza di Ottana. Poi col passare degli anni man mano questa realtà, contro la quale in origine nessuno si battè salvo Città e campagna nelle mie ricostruzioni di questi anni, e il figlio di Columbu il giovane Giovanni regista -per il resto non c’era opposizione, né politica né sociale- poi man mano comincia a nascere questo sentimento antindustrialista e Ottana è eletto a simbolo di un investimento sbagliato, di spreco di risorse pubbliche e gli operai son diventati nella considerazione generale assistiti, cosa pure questa non vera. Ecco dicci il tuo racconto invece, di uno che se l’ha vissuta dall’interno.
Intanto c’è da dire che noi abbiamo sempre privilegiato il rapporto fabbrica territorio, sempre, ma non è solo i trasporti il simbolo, il simbolo è la casa, il simbolo è la casa, perché se noi non avessimo fatto la politica del territorio la fabbrica sarebbe stata circondata come Pisticci e come Gela e come Ravenna di case a bocca di fabbrica dove abitavano gli operai della fabbrica, quindi quella èlite che era già privilegiata allora sarebbe stata ancora più privilegiata, perché aveva la casa, aveva la mensa, aveva il ristorante, aveva…Noi, noi abbiamo spostato 22 miliardi di vecchie lire in tutti i paesi del territorio da Sedilo a Paulilatino, a Teti, a Nuoro, a Macomer eccetera eccetera eccetera, creando le abitazioni dei lavoratori di Ottana in tutti i paesi. Abitazioni che oggi possono essere anche utilizzate da gente del posto, perché è stata fatta la liberatoria e si possono vendere. Quella è la battaglia più significativa e più importante che riuscimmo a vincere contro l’Eni, contro la Svimez e contro tutti coloro anche al nostro interno, parte della Democrazia cristiana, che puntavano invece al contrario. E questa è la prima. La seconda, noi abbiamo fatto la battaglia per i pullman con il territorio. A Sedilo abbiamo tenuti bloccati dieci, dodici pullman per settimane, abbiamo preso colpi da Barisone, qualcuno gliel’abbiamo restituito ma poco in confronto a quelli che ci ha dato, gliel’abbiamo restituito a Ottana, sappiamo essere vendicativi anche noi quando ci provocano, perché ci ha caricato a Bau Accas questo bastardo, ci ha picchiato in piazza a Ghilarza, sotto l’acqua, e a Bau Accas ci ha caricato poi li abbiamo trascinati a Ottana, a Ottana io ho chiamato Piero Vitzizzai, due ore di sciopero, sono usciti tutti quanti li abbiamo circondati li stavamo picchiando, è arrivato il questore, chiamato dal commissario…chi c’era allora…il commissario della polizia di Ottana, Straniero, eravamo amici tra l’altro, mi diceva Saverio smettila, poi mi faceva vedere tutte le carte, sei implicato in questo questo questo, avevo sette denunce allora, anche nei blocchi stradali, fascia tricolore (ride) e si metteva a ridere. Chiama il questore e arriva il questore che era dottor Pazzi, era il questore di Nuoro allora, mette sull’attenti Barisone e dice, capitano se ne vada perché è fuori territorio altrimenti io la denuncio, prenda le sue armate e se ne vada (ride).
E quindi grandi battaglie per i pullman che alla fine ce n’erano anche troppi di pullman, ne viaggiavano sempre vuoti, però intanto quei pullman ci sono ancor oggi, le linee ci sono vengono utilizzate dalla gente non dai dagli operai di Ottana ma dalla gente. Su questo ha grande merito Pietrino Soddu, l’assessore ai trasporti era Baghino, te lo ricordi di sicuro, un imbecille. Io gli dicevo, ma scusi lei sa quanti pullman ha la circoscrizione di Oristano? Ma queste cose l’assessore non le deve sapere… Ma scusi come fa a fare i conti se non conosce manco le risorse che ha a disposizione? e alla fine Soddu dice, d’ora in poi lasciate in pace Baghino che ha altro da fare, di queste cose me ne occupo io e la risolse, la risolse in una settimana tra l’altro, dopo mesi e mesi di casini. La personalità di spicco di Pietrino Soddu non era certamete di Baghino o di altri. Ed è vero che in quel periodo, io mi ricordo, tutte le assemblee che abbiamo fatto nelle scuole, ma facevamo decine e decine di assemblee, ma andavamo tutti a fare le assemblee, anche a Tonara, a Macomer, e dove non si andava. C’era uno che organizzava le assemblee e ti sparava, mica eri tu che decidevi dove dovevi andare e basta, e poi alla fine circolavano i soliti nomi, di chi sapeva fare un’assemblea, sapeva rispondere. Era un problema perché io alla fine non coricavo manco a casa, mia madre era incazzata come una belva e aveva ragione.
Però tutto quell’affetto di quel periodo, Umberto, contribuì a fare una cosa eccezionale, e fu quel blocco stradale sulla 131 che coinvolse diecimila persone, famiglie di operai, famiglie di pastori, de tottu, e bloccammo sia ad Abbasanta ma bloccammo anche a Macomer e praticamente abbiamo tagliato la Sardegna in due e ci siamo rimasti sedici ore, non mezza giornata. Nel ’77.
UC: Parole d’ordine?
La parola d’ordine era, dopo la chiusura dello stabilimento, la difesa dei posti di lavoro.
UC: C’era stata la chiusura quell’anno?
Quella volta aveva fatto il blocco l’azienda e noi avevamo fatto il riavvio degli impianti.
E poi è vero quello che è successo, è vero, è vero che presi da altre cose, sicuramente, noi abbiamo un po’ abbandonato la battaglia per il territorio nel senso che tutte le iniziative che prima vertevano su nuove attività industriali, sulla verticalizzazione, sull’ipotesi di costruire un futuro che sia, che fosse un futuro solido, le avevamo messe in cantiere poi a un certo punto…le abbiamo bloccate, non abbiamo fatto nulla, eravamo presi dalla situazione…
UC: Era l’ansia della situazione interna?
Interna. Nel ’79 ci fu la prima cassa integrazione con l’accordo col ministro Morlino e Mazzanti dell’Eni a Roma, e lì divenne…lì sì ci fu lo scontro tra noi, con Egidio, e insomma quella vicenda poi… Pensa che Egidio sarebbe dovuto essere il sostituto di Nioi alla Cgil, era già in segreteria Egidio, con questa operazione saltò tutto e divenne segretario dopo qualche anno Gianni. Saltato completamente tutto. Ma Egidio sarebbe stata una bella figura segretario generale della Cgil, una bella figura.
UC: Era interessante, un po’ atipico, molto urbano, poco rurale.
Poco rurale. Molto urbano, certo. Lui è di Torpè. A me lo stesso periodo mi avevano proposto – era il ’78 – di andare a Roma in segreteria nazionale, non ci andai, mi dovevo sposare l’anno successivo, dove vuoi andare…con chi mi sposavo, con la Filcea? (ride)
UC: Tu hai avuto anche l’opportunità di diventare parlamentare…
Se non sono diventato parlamentare nazionale è colpa tua. Sì sì. Tu eri segretario provinciale e hai fatto candidare Poddi. Io ho preso 16.500 voti, se non fosse stato candidato il sindaco di Cabras… Vabbé ma niente di personale. Io quando mi sono candidato l’ho fatto per spirito di servizio mica per diventare deputato del partito comunista, che è un grande onore di sicuro però non era nelle mie… Tant’è vero che quando mi hanno chiamato a Roma, Fausto Vigevano, mi dice vieni a Roma che ti dobbiamo parlare…lui e altri due della segreteria, lui e due comunisti: da gennaio alla Segreteria nazionale. E io me li son guardati e ho detto: da gennaio alla Segreteria nazionale un cazzo! Scusatemi eh. No, no Saverio, questo non ce la devi fare! Dai che così rappresentiamo la Sardegna, eccetera eccetera. Ho detto io l’anno prossimo mi sposo, ho altre cose, purtroppo…
No, nn ero roba da Roma io (ride)
UC: Poi il sardo ce l’hanno messo?
Ci hanno messo Corveddu, Salvatore. Ma dopo tanto, dopo quindici anni.
UC: Non ho mai sentito raccontare meglio di come lo fai tu la guerra chimica, chiamiamola così. Com’era Ottana nello scacchiere nazionale ed europeo. I rapporti di forza, la vicenda Eni e poi quelle successive. Come la riepilogheresti?
La crisi di settore ha portato ovviamente a ridimensionamenti generalizzati in tutta Europa, questo è normale, la diminuzione del mercato delle fibre è stato micidiale. Oggi che è oggi in Italia non si produce un chilo di fibra, non ci sono più impianti di produzione di fibre acriliche e fibre poliestere, stessa cosa in Germania, stessa cosa in Francia, hanno tutto delocalizzato verso l’est mondiale, Pakistan, India, Asia. Adesso anche in Cina stanno lasciando quelle produzioni perché pensano di fare altro. Noi ci siamo trovati in questa, in una situazione di ambiguità paurosa, perché la nostra fabbrica era cinquanta per cento Eni e cinquanta per cento Montedison, cinquanta pubblico cinquanta privato, e qui si scontrano gli interessi poi dei due colossi della chimica italiana di quel periodo. l’Eni aveva già attraverso l’Anic Pisticci, e Montedison attraverso Montefibre aveva Porto Marghera, Vercelli l’aveva già chiuso, Pallanza l’aveva chiuso, Ivrea l’aveva già chiuso, e aveva dei residui di Acerra, fibre poliesteri. Quando si è arrivati alla spartizione delle produzioni – allora c’era il commissario europeo Douvalier, quello delle quote insomma – che stabiliva le quote di produzione per azienda, poi le aziende se le giocavano in base a… Ottana ne usciva sempre penalizzata, perché Montedison preferiva le acriliche farle a Marghera e non darle a Ottana, Eni preferiva farle a Pisticci perché era tutto suo piuttosto che farle a Ottana e quindi un casino, allora scioperi anche per questo, cosa volevi fare? Intanto abbiamo fatto un bel piano sulla chimica, abbiamo fatto le osservazioni sul livello italiano prima e sul livello europeo, e a quel punto abbiamo fatto anche le nostre proposte. In Sardegna tra l’altro c’erano tre stabilimenti di fibre, c’eravamo noi, c’era Porto Torres che faceva acrilico e poliestere e c’era Snia che faceva acriliche a Villacidro, era rimasto anche Cesano Maderno, la Snia di Villacidro, però era già battuta in partenza perché il principio processuale era a base di acido nitrico quindi molto pericoloso e di difficile governo nel processo della produzione, infatti chiusero subito Cesano, dopo un po’ chiusero Villacidro e poi in Sardegna…purtroppo noi vincemmo e Porto Torres perse. E si chiuse Porto Torres, sia le acriliche sia il poliestere, e l’Eni chiuse anche Pisticci e rimanemmo da parte Eni solo noi. Invece Montedison non chiuse Porto Marghera, anzi, accentuò ancora di più la produzione di Marghera, la potenziò e riuscì anche, attraverso i tecnici che aveva, perché aveva fior di tecnici – ma li avevamo anche noi – a differenziarla a diversificarla, insomma è stato l’ultimo stabilimento che è stato chiuso in pratica.
Ora in questa battaglia alla fine delle quote alla fine a lungo andare ci hanno rimesso tutti. Non c’è una fabbrica che produce fibre. Bayer non fa più fibre, da tanto tanto tempo. C’è stato un momento in cui la Bayer venne acquistata da una società di Biella ed è lo stesso periodo in cui vengono passate le acriliche di Ottana a Montefibre, questo com’è che si chiamava, era un pirata, c’è rimasto…avrà governato l’impianto per un anno forse poi ha chiuso tutto anche lui e però è chiaro che da questa battaglia non è che ne siamo usciti forti, anzi, rispetto a Marghera abbiamo perso, perché noi abbiamo chiuso le acriliche nei primi anni del Duemila, 2003-2004 mi pare, Marghera invece le ha chiuse nel 2008-2009, adesso è chiuso tutto. Questa è la storia, molto esemplificata, perché poi sarebbe troppo lungo parlare di tutti gli scontri che avvennero fra Eni e Montedison da Rovelli a tutti i grandi personaggi che ci ruotavano attorno…all’Enimont, e a Gardini, ricordati che abbiamo fatto anche Enimont, Ottana è stata anche Enimont quindi hanno fatto di tutto e più di tutto. In mezzo a questo circolavano i soldi che lo stato dava per poter realizzare le configurazioni industriali, e poi alla fine è finito male tutto quanto.
Vorrei dire una cosa sull’assenteismo, che è un tasto che io ho avuto sempre a cuore, inizialmente abbiamo avuto punte di assenteismo notevoli, indubbiamente notevoli, tali da far pensare a molti che avevano sbagliato a fare la fabbrica lì. Roba del 12-13 per cento, in certi periodi dell’anno, le festività patronali, arrivavano al 20-25 per cento di assenteismo, possiamo capire cosa significava. O sfruttavi gli operai che rimanevano sulle linee per tenerle in marcia, oppure dovevi fermare qualche linea. Ma il padrone non le ferma le linee, il padrone vuole produrre. Durante anni successivi però – se si legge qualche volantino nostro dell’esecutivo soprattutto, dicevamo, badate che ci stiamo dando la zappa ai piedi, l’assenteismo serve solamente al singolo che lo fa non serve come lotta per nulla, questa è la cosa politica e quindi siamo riusciti non solo a dimezzarlo ma pensa che alla fine degli anni ottanta l’assenteismo era sul 2 – 2e mezzo per cento, si era già orientato verso le percentuali nazionali. I picchi c’erano sempre, certi picchi per le feste – sas festas inoghe sun festas, no mi jas sas ferias mi ponzo in maladia, sa zente est gasi, fu’ gasi, como no b’ada remediu.
UC: E invece la vicenda ambientale, sempre in relazione alla tua esperienza?
Gli ultimi anni della mia esperienza lavorativa li ho passati nell’impianto di depurazione però già da prima noi avevamo una commissione ambientale come consiglio di fabbrica, una commissione ambiente – dovresti chiedere a Mussoni che è lui che era sempre lì, faceva solo il rompiballe nella commissione ambiente. Sto scherzando! Siamo molto amici con Gianfranco.
Dico la verità, non è che l’ambiente sia stato sempre al centro del nostro progetto politico, forse perché c’era la consolazione dei posti di lavoro, c’era la battaglia per la vita, per la vita, però diversi interventi li abbiamo fatti nei confronti della società, sia per…per gli scarichi nel Tirso, sia per come si dice, per la salute dei lavoratori. Abbiamo fatto spendere un casino di soldi allo stiro filo ad esempio, forse erano centocinquanta o duecento milioni di lire di allora, per l’insonorizzazione di tutto il reparto perché la rumorosità era 120 decibel, era completamente fuori norma. Però è vero che sulle questioni dell’inquinamento non è che abbiamo dato una grande impulso. Saltuariamente. E devo dire invece che nel periodo che ero nell’impianto di depurazione alcune cose son state fatte, ad esempio c’è stata la bonifica completa di una parte dell’impianto che era piena delle polveri del forno, cancerogene, l’interruzione della produzione e del trattamento dei fanghi panDryer dell’acrilico. Però se fossimo stati più sensibili, l’azienda l’avremmo stoppata sulle acriliche, l’avremmo dovuta stoppare noi tempo prima, perché loro per trattare i fanghi, prima li mandavano sempre a Ravenna a bruciare poi a un certo punto si vede che i costi erano troppo elevati, hanno fatto quattro o cinque, sei buche e scaricavano i fanghi che sembra pece ed è altamente inquinante, altamente tossica, altamente cancerogena, altamente tutto. Avranno anche fatto i pozzi con tutta la sensibilità tecnica e tecnologica per tutelare il territorio e le falde, cosa che…non so, comunque un beneficio di dubbio me lo lascio, però avremmo dovuto sicuramente intervenire noi per dire no, queste cose tu non le fai. E poi invece questi fanghi son stati bruciati nel 1999 in due anni, una parte li abbiamo bruciati noi, poi ci siamo rifiutati e li hanno mandati di nuovo a Ravenna e li hanno bruciati lì. Se ci sia ancora qualcosa nei meandri dello stabilimento non lo so. Può darsi.
UC: É morto il mese scorso Bettini, uno dei fondatori della ecologia in Italia, che venne anche quando parlavamo della centrale elettrica nel Cirras. Lì fu decisivo perché disse che lui non era, che la valutazione dell’impatto ambientale dell’Enel era inattendibile insomma. Ma…una commissione da lui seguita, dove c’era anche Vacca sindaco attuale di Milis, dice che le conseguenze di queste cose nel territorio di Ottana sono irrilevanti, al contrario di altri siti. Sul suolo non sono rimaste troppe tracce. Ma…rispondi al cambiamento di umore dall’esterno in relazione alla fabbrica, compreso l’attuale atteggiamento. Dimmi poi se c’era una possibilità di salvarla e che cosa è mancato. Perché improvvisamente noi non possiamo più avere una politica industriale, come se non ne possiamo più parlare? In ogni caso, alcuni paesi anche europei la chimica l’hanno conservata…
Io non sono d’accordo con Egidio Addis su questo, né ero d’accordo con Soru ma ci siamo chiariti e alla fine ha condiviso, cioè una regione come la nostra non può campare di pastorizia e di turismo, è assurdo, è una condizione socio economica che non va da nessuna parte, è impossibile. Perché non va da nessuna parte? perché abbiamo visto che l’allevamento e la pastorizia in genere sono ricattabili sotto tutti i punti di vista, quindi non possono fare un’economia autoctona normale come farebbe qualsiasi azienda perché tanto c’è il ricatto imposto dai produttori o da altre frange del mercato che siano giuste o che siano sbagliate, non entriamo nel merito adesso, però è sicuramente un’economia condizionata, punto. Il turismo, la nostra isola è più bella di Cuba, quello che vogliamo, però qui chi ha fatto gli investimenti non sono i sardi, e se sono i sardi danno il lavoro stagionale a salari di fame e sono quei pochi soldi che rimangono in Sardegna, tutti gli altri se li portano via da dove sono arrivati. Briatore, Costa Smeralda, turismo d’élite, non c’è un turismo diffuso, il popolo è considerato il maniera diversa. Poi cui ci vuole una completezza del ciclo economico, che è quello del lavoro dipendente, che è quello dell’industria, non parlo dell’industria pesante, non parlo di siderurgia o di chimica di base, parlo di una chimica di trasformazione, parlo di un’industria ad alta tecnologia che completi appunto il ciclo economico della Sardegna, per dare più garanzie di sopravvivenza, perché alla fine si tratta di sopravvivenza. Qui l’industria chimica è chiusa completamente, l’industria metalmeccanica è chiusa lo stesso, chissà se si riapre qualcosa nel Sulcis ma è di ieri la notizia che l’Eni abbandona la chimica verde, siamo in condizioni…arcaiche, cioè preindustriali. Non è vero che l’industria fa male all’ambiente, non è assolutamente vero. L’industria fatta solo ai fini della speculazione del randagismo economico porta danno non soltanto all’ambiente, porta danno a tante altre cose. Se invece parliamo di un’industria che sia non dico la Ferrero, la Luxottica, ma ce ne sono tante altre di fiori all’occhiello dove anche l’imprenditore è un imprenditore illuminato, intelligente, parliamo di persone di alto spessore culturale e di alto livello umano, umano, che dicono voglio guadagnare però perché non far star bene anche gli altri? E questa è l’industria di Olivetti, su biadu, che purtroppo De Benedetti non ha mai messo in pratica. Quindi…se vogliamo considerare la Sardegna come un serbatoio di interessi altrui, questa è la strada giusta, il sardo poi che crede a tutto, non pensavo che arrivassimo a credere a questo come si chiama, Salvini, fra un mese un euro per ogni litro di latte e i pastori che cadono… vabbè (ride)
UC: Perché non l’abbiamo salvata? Cosa è mancato?
Io su Ottana ho un pensiero. Io ormai sono uscito da Ottana nell’84 quando abbiamo fatto la cooperativa, e quindi poi nel ’91 sono uscito dalla cooperativa e sono rimasto cinque anni facendo altro sempre per Ottana ma non dipendente di nulla, e poi nel ’97 mi hanno riassunto Piero Salaris alla COMIMECO e poi son passato al consorzio industriale. La verità vera è che noi – mi ci metto anche io, anche se non ho giocato la partita- quando l’Eni ha iniziato a vendere lo stabilimento a spezzatino, vendendo a tizio a tutte le piccole, per poi battere il colpo più grosso che era quello di chiudere il fiocco poliestere, quello l’ha chiuso nel ’97-’98 e poi dare le acriliche alla Montefibre, a quel punto i giochi erano fatti, non siam stati capaci di sollevare la schiena e dire no quello non va bene. Avremmo dovuto intervenire prima e dire all’Eni, no tu qui senza un piano di riconsiderazione della struttura industriale dello stabilimento tu qui non vendi nulla, sediamoci a un tavolo e vediamo cosa c’è da fare. Non lo abbiamo fatto, questa è la cosa.
UC: Invece tutto il discorso della verticalizzazione? C’è anche un discorso sociale dell’impresa? Questo fatto che si potesse uscire da Ottana creando impresa, ogni tanto si costruiva questa retorica, non era reale?
Della verticalizzazione, degli operai che diventano imprenditori… retorica. Non c’è rimasto niente perché alla fine l’indotto lo governava sempre l’Enichem, come ha fatto con noi con la cooperativa, dieci anni di contratto, che gli abbiamo fatto allungare di due anni tre anni, e dopo di che ha chiuso tutto, per forza fallisci.
UC: Racconta questa esperienza, come nasce, come te la sei vissuta.
L’esperienza Cooptex nasce dietro una proposta nostra sotto una proposta nostra di verticalizzazione delle fibre acriliche, per fare andare al passo successivo che è quello di produrre di trasformare il tow acrilico in top acrilico per il settore cotoniero e laniero abbigliamento, in pratica, quello che facevano a Prato e a Biella e di spostare una parte delle produzioni, non tutte, a Ottana. E questo venne accettato, lo propose alla società, l’Enichem, all’inizio hanno fatto gli gnorri poi hanno accettato. Quando ci siamo seduti per fare il contratto, lì son cominciati i problemi, noi chiedevano di produrre non solamente per il mercato cinese, chiedevamo le specifiche di produzione nei settori più avanzati del laniero e del cotoniero, l’abbiamo spuntata ma non sempre ogni mese producevamo qualcosa per il mercato italiano e per il mercato europeo, soprattutto producevamo per la Cina. E questo è uno, poi quando siamo andati a fare il contratto per la consegna della materia prima, hanno iniziato prima cinque anni, poi sette, poi dieci, l’abbiamo finita a tredici ma si vedeva che erano restii a impegnarsi a lungo e infatti così hanno fatto, finché è durato il contratto tutto bene, nel ’95 poi hanno deciso di tagliare, e hanno tagliato.
UC: Il contratto prevedeva che voi utilizzaste un capannone…
Avevamo un capannone abbastanza grande, di circa otto-diecimila metri quadri, loro ci fornivano la materia prima per fare…quello era un conto-lavorazione, poi ci fornivano vapore e energia elettrica che ovviamente pagavamo… Ma ti devo dire che fino all’89-’90 le cose sono andate bene, soldi ne abbiamo fatto.
UC: Il personale chi lo aveva selezionato?
Il personale…eravamo, guarda erano i tra migliori operatori che c’erano in Enichem, tutti iscritti nostri.
UC: Quindi rimanere sotto il controllo di questi ha impedito qualsiasi iniziativa privata…
L’errore ripeto è quello di non aver colto l’occasione nel momento in cui questi stavano iniziando sottobanco a vendere a non convocare un incontro, anche costringendoli, l’arte del costringere l’abbiamo imparata così bene, due scioperi, due blocchi di stabilimento, due articoli sul giornale di Giacomo Mameli (ride)
E ti dico che mi dispiace, mi dispiace.
UC: Produttività della fabbrica: nel corso di questi anni com’è andata? Come risponderesti al luogo comune che la fabbrica non produceva?
Il luogo comune che la fabbrica non producesse non è vero, assolutamente. Noi siamo arrivati a produrre, allora l’acrilico era dato come know-how per 70mila tonnellate, siamo arrivati a produrne 90. Perché la produzione chilo/ora era stata sensibilmente aumentata da 650 chili/ora fino a mille chili/ora per sperimentazioni e per interventi tecnologici ideati dal nostro servizio tecnico, dal nostro servizio, non portati dai margheroti dalla Montedison, che poi loro si son presi le carte e l’hanno fatto anche a Marghera, è ovvio.
UC: Il percorso privato…ti rimaneva poco tempo ma a un certo punto ti sei fidanzato. A che età?
Mi sono fidanzato nel ’75 con Cristina, che è di Aidomaggiore anche lei, mi son sposato nel ’79, stavo facendo la casa, finita la casa mi son sposato, perché altrimenti non funziona. Ho tre figlie femmine, la grande Lorena purtroppo è senza lavoro e fa le stagioni, l’estate in Baronia e l’inverno in Trentino Alto Adige, è una brava ragazza e lavora come una dannata, Lorena. Hanno studiato tutt’e tre, due diplomate e Monica laureata in servizi sociali e lei è assistente sociale. Ivana è OSS lavora all’ospedale di Tempio, e Monica al Comune di Ghilarza, si è laureata a 22 anni, è brava, sono incazzato come una belva perchè non fa la biennale, ma…comunque. Adesso l’ho convinta a riscriversi all’università ma bisogna che le metta una briglia (ride).
E io sono in pensione, sono segretario del Sindacato pensionati Cgil, lega di Ghilarza, la lega Antonio Gramsci e sono nella segreteria provinciale dello Spi di Oristano, ho continuato…il vizio del sindacato non l’ho perso, sono rimasto sempre atavicamente legato alla Cgil.
UC: Che esperienza fai ora? Rivedi un po’ di gente…
Rivedo molti che conosco, vengono da noi per le pratiche di pensione, c’è un aspetto di questa cosa che non mi aspettavo…la necessità da parte della gente di tante cose, di assistenza, c’è un casino, cioè pensare che la provincia di Oristano il 60 per cento son pensioni sociali è assurdo, cioè 500 euro al mese, pensionati che campano figli, uno, due, è impressionante la povertà che c’è in giro. Quindi tante pratiche di assistenza. Vengono, vengono…
UC: Invece la memoria di Ottana la rievochi? Ti vengono a trovare amici…
Enea viene a trovarmi almeno una volta alla settimana, Enea Guarnieri, poi li vedo tutti, anche Dorino è nostro iscritto, Giuseppe Pilia era nel nostro direttivo territoriale, con Francesco Tolu sono sempre in contatto, ci sentiamo spesso. Intervistalo Francesco.
UC: Sì, sicuramente. E la vicenda dell’amianto invece com’è?
Ne muoiono ogni giorno, quasi ogni giorno. Però diciamo che in parte siamo riusciti a far riconoscere almeno le competenze e le malattie professionali, son morte quasi duecento persone, però o 60 o 65 pratiche siamo riusciti a farle riconoscere grazie soprattutto alla nostra presidente. Sabina Contu, è brava. E questa è la situazione.
UC: Ragazze, avete qualche curiosità?
FA: Non abbiamo parlato del corso. Quando lo hai fatto era la prima volta che uscivi dalla Sardegna? Quali erano le impressioni?
A Busto Arsizio, era la prima volta che uscivo dalla Sardegna, non ero mai andato da nessuna parte. Ci hanno caricato una sera, una notte su un fokker 27 di quelli vecchi (ride) a due eliche; meno male che non ho mai avuto paura! ma c’era qualche mio collega terrorizzato, cigolava da tutte le parti, mai andato in aereo prima in vita mia, immagina. Ci hanno scaricato all’aeroporto di Linate, un pullman, e portati a Busto Arsizio. A Busto Arsizio – stiamo parlando del mese di novembre , la neve alta un metro – non ci hanno lasciato né alloggio né nulla, allo sbando, buttati lì in piazza Ferretto a Busto Arsizio (ride).
UC: Lì eravate borsisti? Che condizione avevate? Già contrattualizzati?
No lì eravamo al corso, quindi non contavamo nulla, il due di briscole contavamo.
UC: Ti davano un assegno…
Ti davano 90mila lire al mese, no ci davano 80 più diecimila di mensa, immagina.
FA: Il distacco da casa personalmente come l’avevi vissuto?
Era una cosa che si doveva fare, e basta, io l’ho fatta. Dovevo farlo per forza perché pensavo al lavoro. Poi ero abituato al distacco da casa, quando sono andato a Cagliari a studiare ero lontano comunque, non esistevano telefoni, mia madre, la nostra famiglia s’è messa il telefono quando son partito io a Milano.
VS: Io volevo sapere se nel bilancio complessivo sono state secondo te più le cose positive che Ottana ha portato al territorio o no? A livello di coscienza politica ad esempio…
Quella fabbrica nel ’75 ha determinato il cambiamento di circa il 65 per cento delle amministrazioni comunali della provincia di Nuoro, ha eletto 170 amministratori locali e qualcuno anche a livello provinciale poi in seguito ha eletto anche il consigliere regionale, Franco Pintus, te lo ricordi e ha portato dibattito nei paesi, ha aperto una nuova era, un nuovo stato anche di diritto, perché parlavi di tutto, parlavi di Ottana, parlavi di trasporti, parlavi di casa, eccetera eccetera. Ottana ha dato da mangiare a quattro generazioni, con relativi figli eccetera, i danni che ha fatto dal punto di vista ambientale non sono motivati per dire che è una iniziativa sbagliata. Io per esempio son stato incaricato dalla mia direzione quando ero in Consorzio di far fare un’analisi alla Batel che è una società svizzera di controllo del territorio, dell’ambiente e degli inquinanti che ci sono stati…son venuti, hanno speso un casino di quattrini e hanno fatto i sondaggi per tre metri tre metri e mezzo con delle macchinette speciali che avevano, son rimasti un mese, hanno sondato tutto l’impianto di depurazione, tutta la costa, la parte dello stabilimento verso la strada che entra dall’impianto di Michelino Denti e tutto quello dall’altra parte. Non hanno trovato tracce, a tre metri e mezzo, di acrilonitrile, non hanno trovato tracce di solventi o altri… Non siamo potuti andare all’interno a fare i sondaggi perché la direzione dello stabilimento non ce l’ha consentito, però la parte che è all’esterno, ho conservato la cartografia, si può dire, ed è la Batel una delle prime al mondo in queste genere di operazioni, fa anche rilievi sottomarini.
E quindi da quel punto di vista io credo che la fabbrica ha portato sicuramente una crescita delle coscienze, sicuramente, a me per primo, e poi ha portato benessere dal punto di vista economico, pensate che a un certo punto c’erano cinquemila persone lì tra chimici e imprese esterne quando si stava per finire gli impianti, cinquemila persone per tre in media in ogni famiglia sono quindicimila persone che ci mangiano, se non di più.
Io sono positivo nella vita e forse si evince anche dai ragionamenti che faccio, e finché non vengo contestato con fatti veri, io rimango fermo alla mia opinione, e fatti veri a questo momento nonostante le stronzate che scrive Pili sull’Unione sarda, che ripete le cose che sappiamo da molto prima di lui, Pili Mauro, ne ho letto una oggi, anche… questo è terrorismo ambientalistico, finché tu non hai prove tu non puoi scrivere cazzate, non si può fare terrorismo ecologico solamente per i tuoi sporchi fini personali, perché di questo si tratta, ci vuole serietà, soprattutto persone che sono in vista, che sono conosciute, come Umberto Cocco che è conosciuto perché è giornalista, perché scrive bene, scrive ad esempio che la fabbrica di Ottana è stato il monumento dell’inquinamento della Sardegna centrale, io sono il primo che prende il telefono e gli dico: ma i dati di fatto Umberto per favore dove sono?
FA: Tu eri soddisfatto del lavoro?
Lo stipendio…il contratto chimico era un contratto come si spetta. Oggi ci sono pensioni dell’industria, semplici capiturno, che arrivano a duemila e quattro duemilacinquecento euro al mese, netti, io non prendo tanto perché ho fatto sempre il giornaliero e quindi ho una pensione che è intorno ai 1700 euro lordi, quindi mille e cinquecento euro netti, ma se pensate che uno che lavora nella sanità prende millecento euro milleduecento euro di pensione, guardatevi il delta che esiste tra uno stipendio e l’altro o un comunale che prende milletrecento euro, e neanche, o i pastori, c’è un mio amico andato in pensione dopo quarantacinque anni cinquant’anni in campagna prende cinquecento seicento euro al mese, che dice devo continuare a fare il pastore perché altrimenti non ci campo cioè tutta la vita murghinde arbeghes siche moridi murghinde arbeghes, ma stiamo scherzando, e quindi questa è la parte ludica della fabbrica, che sì ti fa lavorare, ti fa…ti sfrutta, non te li regala i soldi, però poi i soldi dello stipendio in parte ti gratificano.
UC: Cosa leggi prevalentemente, per esempio negli ultimi tempi che ti è rimasta? Oppure altre passioni…
Io faccio sindacato, campagna e leggo. In campagna sempre, anche stamattina ero in campagna, ho la mia campagna, che è vicina ad Aidomaggiore, ho fatto un nuovo frutteto, ho messo cinquantacinque alberi da frutta e poi ho questa campagna vicino al paese dove faccio l’orto invernale e l’orto estivo e ho l’uliveto, qualche ora al giorno gliela dedico sempre, fa anche bene . E poi leggo, leggo il giornale ogni mattina, e poi libri, leggo…pochi di politica e poi Ken Follett, sono un divoratore di libri, me ne leggo uno alla settimana, e poi computer, mi diletto. Non gioco, non so giocare e non gioco, mi guardo il tennis, mi guardo le partite di calcio.
FA: Il primo giorno di fabbrica te lo ricordi?
Ottana. Il primo giorno che effettivamente mi ha impressionato non è manco il primo giorno che ho ho visto gli impianti, gli impianti erano simili a quelli di Marghera, questi più nuovi effettivamente più a misura d’uomo perché a Marghera il reparto dove lavoravo io a Marghera sarà stato alto tre metri sembrava l’anticamera dell’inferno di quelle che diceva Dante Alighieri (ride), io sono stato a Ottana invece a vedere il cantiere, adesso non ricordo se nel ’72, forse nel ‘72, e sono andato…avevano una di quelle come si chiamano, all’ufficio del personale, ed era in questo container lungo una quindicina di metri, e sono andato nel mese di luglio, senza condizionamento e funi tottus isbarduliaos sueraos pilu pilu e ho detto: si custa est Ottana menzus a no benner a inoghe.
Invece quando sono arrivato dallo stabilimento di Porto Marghera, non mi sono…non sono uno che si impressione delle cose, sapevo dove dovevo andare.
UC: E’ interessante la storia del container. Dove era?
Era in un cucuzzolo questo container. Ci sono ancora i basamenti…di cemento. Quel container che poi noi abbiamo fatto portare a Pisticci, a Pesco pagano nel terremoto dell’81. Abbiamo fatto un’operazione per il terremoto in Irpinia, micidiale.
VS: Come è cambiato il tuo tempo libero dopo lo stipendio fisso?
Lo sai che….Quando ho preso il primo stipendio, a Milano, era di 450mila lire, non è che fosse una grande cosa, sto parlando del settembre ’71, la sensibilizzazione dei soldi l’ho avuta quando sono arrivato a Ottana che con i turni prendevi otto-novecentomila lire, trecentomila erano dei turni, seicento di stipendio e trecentomila dei turni, ed erano soldi, erano soldi. Mi son fatto la casa nell’orto dei miei genitori, avevano un bell’orto, c’è ancora… A pensare che mio padre negli anni ‘70 prendeva centomila lire di pensione… Non è che, è diverso.