La conversazione con Palmiro Cillara si svolge nella cucina della sua casa di Gavoi, alla presenza di Gianfranco Mula. La casa a più piani, sul fianco di un poggio, è piena di oggetti, persone di famiglia si affacciano, salutano, chiedono. Quadri alle pareti, libri, e la cantina zeppa di giornali, cartelle, materiali di una vita in fabbrica, anzi, della vita della fabbrica. Che era un campus universitario, dice lui a un certo punto dell’intervista.
Intervista integrale: 170 min.
Questo tipo di industrializzazione è stata anche inizialmente osteggiata. Io invece sono d’accordo con questo processo. È stata un’operazione, quella di Ottana, nemmeno facile. Per far nascere Ottana c’è stato uno scontro anche feroce. In parte un documentario, di Sanna, lo riprende. In una certa misura invece almeno per quanto mi riguarda dobbiamo ringraziare i democristiani di allora, a iniziare da Pietrino Soddu, di Benetutti. Perché ancora una volta come sta avvenendo adesso, che la provincia di Nuoro è scartata, viene marginalizzata. Non sto parlando soltanto dei processi lavorativi che non si creano più ma anche dei servizi, della sanità e così via, anche in quell’occasione in quel periodo storico c’è stato, grazie anche ai democristiani di allora della provincia, c’è stato quest’asse che invece hanno forzato perché anche Nuoro potesse godere di un possibile sviluppo, le cui conseguenze al di là di quel che si può dire non erano chiare a nessuno, era una cosa nuova, si era anche di fronte a un’emergenza. Come sai Umberto, a suo tempo questa era nata sulla spinta di ancora una volta un’inchiesta parlamentare, Medici e queste cose, e in una certa qual misura è avvenuto anche un pochettino in una maniera accelerata. In quel periodo la provincia di Nuoro era dal punto di vista dell’ordine pubblico messa male, quindi ci voleva un’emergenza. Ma in quel periodo nel paese c’era un processo di industrializzazione abbastanza forte e la chimica ad esempio grazie al petrolio che costava veramente molto poco allora, ci si è imbarcati su questa storia della chimica e era questa un’occasione.
Poi uno può dire con tutta la nostalgia di chi non è stato operaio nella chimica, nell’industria o anche emigrato operaio, ecco in questo caso da alcune parti della società, che sono anche alcuni intellettuali, che erano contrari e poi lo sono stati anche più avanti contrari, e ancora adesso condannano quel processo perché volevano tenere ancora la Sardegna imbalsamata, con la sua tradizione economica, quindi il settore agro-pastorale… Io mi permetto anche di dire nostalgici di una Sardegna che non poteva rimanere così, di un uomo sardo che non poteva rimanere storicamente anche dal punto di vista estetico diciamo rimanere come è sempre stato, con i gambali, in Sardegna si doveva vedere l’asinello, questa Sardegna così insomma, conservata, non tenendo presente invece della condizione materiale in questo caso della gente e degli esseri umani insomma…
Pochi però erano contrari, non c’era nessun partito politico contrario all’industrializzazione a Ottana.
Antonello Satta era contrario, gavoese, poi il figlio di Columbu, che fece una tesi di laurea diventata famosa.
Sì sì li ho letti, sono a conoscenza. Poi un’altra parte un po’ contraria ancora adesso nei dibattiti viene portata avanti da persone che io definisco sempre a pancia piena, quelli garantiti, gli statali, gli insegnanti. Non tutti chiaramente, persone che hanno un posto fisso garantito e poi perché non dirlo? Più avanti c’è stata anche una rabbia delle persone che non sono potute entrare in fabbrica, anche nei paesi vicini, anche nella stessa Ottana perché in una certa misura incredibilmente coloro che erano inseriti in un posto di lavoro a Ottana nella chimica venivano considerati dei privilegiati. C’è anche questo, la contrarietà nasce da molti punti di vista a seconda della condizione. Io invece sono stato sempre d’accordo, lo sono anche adesso e adesso ho anche una nostalgia. Poi uno dice, va bene, ci sono stati inquinamenti… Sì, tengo presente tutto ed è vero. Come è vero – io ho visitato diversi stabilimenti – che Ottana da questo punto di vista era, è stato lo stabilimento più green, meno inquinato perché se si va a vedere Porto Torres ad esempio, se si va a vedere Porto Marghera, io li conosco. Marghera ad esempio, che ha avuto delle persone – vista la situazione – anche intelligenti. La situazione è questa, allora cerchiamo di utilizzare questa situazione per avere altro. Hanno avuto in questo caso – tieni presente Marghera costruita su strati e strati di materiali di scarto – però l’hanno utilizzato per ottenere altre cose chiedendo e ricattando il paese, Venezia l’inquinamento e così…Noi non siano riusciti nemmeno a recuperare il senso delle bonifiche.Ecco, da questo punto di vista Ottana non è stata così catastrofica così come viene descritta. Se uno fa l’analisi bene, focalizza bene qualsiasi settore compreso quello caseario e analizza i reflui, gli scarichi, gli aspetti nocivi, è un dramma, è un dramma anche lì.Io ho sempre sostenuto questo processo perché ha cambiato il volto almeno per quanto riguarda il nostro ambiente. Non sto qui a parlare della politica, delle lotte, la politica, voglio dire un processo c’è stato. La cosa che ad esempio a me mi ha impressionato molto nella fabbrica, in questa grande “macro… società” – possiamo chiamarla una società – era che ad esempio di come si viveva nella fabbrica, importante questo. Ad esempio, al di là degli aspetti di ordine politico, noi eravamo sempre i primi negli scioperi, c’era posso dire anche una sorta di incoscienza nel senso che eravamo tutti giovani, non avevamo da perdere niente, la maggior parte giovani, quindi avevamo rispetto ad altre realtà, rispetto a Porto Marghera e altri, avevamo meno paura, in questo senso incoscienza, quindi a fare una lotta forte che incidesse anche sul piano della penalità dell’azienda, non c’era quella maturità tale che bisogna guardare anche ai bilanci. Questa è una cosa che è venuta dopo, molto dopo, quando la fabbrica non è stato più quel posto garantista o garantito perché c’erano le partecipazioni statali ma è iniziato il processo della privatizzazione e allora tu diventavi azienda, nel senso che ti misuravi col mercato e quindi se tu nel mercato riuscivi a competere vivevi, se non riuscivi a competere morivi.C’è stata questa fase che non si tiene presente, molto probabilmente io non sono tra quelli che in maniera eroica pensa: ah noi… Le strade occupate. Mi interessa relativamente, mi interessa anche questa parte di vita che è venuta dopo. Quindi ci sono da questo punto di vista molte cose da raccontare, ma io ricordo ad esempio, una tra le cose più belle che io ricordo, che noi abbiamo avuto anche degli insegnanti, voglio dire politico-sindacali interessanti, ad esempio ricordo sempre una frase di Pietro Vitzizzai che mi aveva colpito in maniera… tra l’altro Pietro andava anche d’accordo quando c’era il momento di manifestare, di essere duro. Io ho ancora uno zaino lì con la sua scritta, molto bello (queste cose magari che non siano riferite) lui aveva scritto: Viva la dittatura del proletariato! Oggi sono cose che… insomma per dire, però la cosa che a me aveva colpito di questo intellettuale era che lui sosteneva: “esistono le società da cui noi proveniamo, i paesi, e poi in forma più macro la provincia. Be, noi dobbiamo cercare di sperimentare qui una nostra società, una nostra società, pensare di sperimentare perfezionando il processo, il pensare democratico. Era una cosa bellissima, cioè questa fabbrica, quasi una società separata, che sviluppa un suo modo di vedere la società, un suo modo di relazionarsi e rapportarsi però in maniera democratica, in maniera tale che poi questa nostra esperienza si riverbera quando torniamo a casa, nelle società di tutti da cui proveniamo, da cui siamo nati, anche per migliorarla. Nasce da questo punto di vista, ecco che poi si innesta tutto quel processo di ragazzi che si sono politicizzati, che sono diventati sindaci, che sono diventati amministratori e tutte queste cose. Però era molto bella questa cosa, questa storia, me lo ricordo molto bene, insomma.
Cominciamo col raccontare però la vita, senza… Hai detto cose che non avevamo ancora sentito sinora, alcuni concetti sono veramente…non li avevamo ancora sentiti. Ma l’esperienza di vita. Tu nasci, quando, dove e da quale famiglia?
Io sono nato a Lodine nel 1947. Diciamo che ho perso mio padre all’età di 13 anni, allora mia madre (ero già pastore) mi forzò una mia volontà da pastore, mi ricordo che ero a Bonorva perché noi eravamo pastori e un po’ contadini e mi disse, proprio con l’idea di migliorarmi dal punto di vista scolastico, mi disse: “Palmerio, tu, c’è la possibilità di entrare in questi collegi dell’Enaoli. Enaoli era un famoso ente, così considerato ente inutile, Ente nazionale orfani lavoratori italiani. Allora proprio prelevato allo stato selvaggio dalla campagna quindi andai lì. Io lì ho dovuto imparare l’alfabeto, fuori dalla Sardegna, andai a Formia, in Toscana, e lì ho fatto una scuola professionale. È stata un’esperienza bellissima. Tu tredicenne eri già pastore, tuo babbo era pastore…Mio padre contadino, miei fratelli pastori. Mio padre si è sposato due volte e sposò due sorelle e aveva avuto sei figli dalla prima moglie e sei figli della seconda; io faccio parte della seconda. C’è stato un mio fratello che non ho mai conosciuto, morto in guerra, sto cercando di rintracciare la sua figura. Non c’è testimonianza di questo mio fratello. E quindi in questo eravamo così. Poi la maggior parte di noi, una parte eravamo impegnati qui nelle campagne, babbo era contadino, ‘u massàiu, stavamo anche benino da questo punto di vista, eravamo nel periodo dell’economia cosiddetta “autarchica”, non è che aveva il problema del gas che manca, del petrolio e delle materie prime. Avevamo un po’ di terreni di proprietà e in più mio padre coltivava anche i terreni degli altri con quel sistema di contratti di allora. Però io ricordo avevamo sempre un senso di sicurezza che oggi, nonostante… per esempio io posso dire di vivere in un’abbondanza quasi smisurata, nel senso che se io ho cento qui, l’utilizzo di questo cento è pari al cinque per cento delle cose che non servono. Invece lì avevamo il grano, avevamo tutte le provviste dell’alimentazione, quindi avevamo una certa sicurezza, non avevi paura che, rispetto a questo mondo interdipendente che se accade una cosa nell’ Amazzonia, come si dice, lo svolazzare di una farfalla ha gli effetti anche qui… C’era quindi una sicurezza. Poi sai oggi, tieni presente, gli ambienti nostri erano ambienti abbastanza chiusi, quindi il mondo era quello ed era un fatto eroico se tu riuscivi ad esempio a fare delle piccole cose, ma siccome non sapevi che altri avevano fatto molto di più… vabbè ti faccio un esempio: attraversare il fiume che noi chiamiamo ???? e che alimenta il lago e che sentivamo a Lodine anche il rumore (cosa che non senti più), ma attraversare quel fiume era un fatto eroico; andare alla festa di Fonni a piedi era una cosa incredibile. Invece ci sono fiumi più grandi, si fanno traversate molto più grandi. Scusa Palmerio, Carlo Alberto passò da Sedilo e ci stette qualche ora, fece visita ai nobili, poi doveva andare a Ghilarza che pure non era ancora capoluogo di zona e tornò indietro perché era in pieno un ruscello, il Rio Siddo che veniva da Aidomaggiore e scendeva al Tirso. Per dire le difficoltà, ed era il re.Il nucleo familiare era unico. Noi eravamo complessivamente otto fratelli e quattro sorelle e poi gran parte dei miei familiari erano fuori a Roma e in altri ambienti. La prima moglie è morta e poi mio padre ha sposato la sorella, in quel periodo era un po’ così. È chiaro che tutti si era mossi dalla necessità che devi vivere, che devi sopravvivere, quindi il problema di andare fuori era sì un problema, però era un bisogno forte che alla fine prevaleva sulla scelta di andare fuori rispetto a rimanere in un ambiente che ti condannava a vivere in una situazione dove le stesse libertà erano condizionate… perché la libertà è anche quando c’è lavoro, quando sei un pochettino in uno stato di autonomia. E chi fece la scelta di andare fuori dei tuoi fratelli e sorelle?Be’ andarono via moltissimi, quelli della prima moglie, sì. Erano servi pastori, poi sono diventati loro pastori, perché succedeva così, succedeva ad esempio che in un certo periodo storico inizialmente uno faceva il così detto “servo pastore”, poi si affrancava e riusciva a costruire un gregge di ottanta cento pecore e viveva, viveva, riusciva veramente a tenere la famiglia. Oggi sappiamo che non è possibile. Poi altri hanno scelto altri lavori: chi a fare l’autista chi a lavorare in altri ambienti, insomma…
La tua infanzia comunque era…
La mia infanzia era così, sono uscito fuori. Le scuole a Lodine c’erano, c’erano le elementari, feci fino alla quinta e poi niente, c’erano le medie a Gavoi. Qualcheduno del mio paese riuscì (c’era l’avviamento) anche – non erano molti – a fare anche le medie. Ma poi come in tutti i paesi, voglio dire, in questo caso uscirono fuori. Uno della famiglia ad esempio è stato anche in Belgio e si salvò da quella famosa tragedia di Marcinelle in una maniera abbastanza rocambolesca, voglio dire… alla fine qui non c’è la possibilità e quindi hanno preso tutte le vie possibili là dove c’era la possibilità di trovare un lavoro, costruirsi una famiglia, un futuro.
Tu le medie no…
Io ero il più piccolo della famiglia e rispetto ai miei fratelli ho goduto di una situazione privilegiata, sono andato fuori.
Qui eri già quattordicenne, ma dalle elementari ad allora?
Dalle elementari vivevo a casa e in campagna e davo una mano, seguivo i miei fratelli che aravano il terreno, che seminavano e che facevano tutte queste cose
A Bonorva chi era arrivato per primo?
a Bonorva sono arrivati per primi due miei fratelli, lì erano pastori e c’erano dei terreni, poi si sosteranno a Bonnanaro…
Tutto il regno del nostro amico Titti Fodde, il nostro paesano ex ergastolano. Tutti terreni di proprietà che era una situazione di privilegio però fra i pastori, o no?
Tieni presente che mi sentivo anche un ragazzo felice io della condizione in cui vivevo, poi raccontarti la storia di quando eri ragazzo che alcune cose le avevo sempre in mente. Tieni presente una cosa: quando poi tornavi dalla scuola, dal continente – che lì vedevi i prati in un certo ordine e vedevi una situazione più armoniosa, più armonizzata – e quando tornavo qui, vedevo quella antica povertà… le case in una certa maniera, bassissime, dove uno aveva anche le bestie, anche i maiali. Questo te lo racconto perché è un po’ particolare. Un po’ mi vergogno adesso perché i miei amici ogni qualvolta quando ci capita di incontrarci: “Eh compa’– ci chiamavamo compare gli amici della stessa leva ma anche altri insomma – A boll’ammentaes”. E io un po’ sentivo il senso della vergogna, però la cosa incredibile, queste cose mi facevano paur Vedevo che questa Sardegna non cambiava, che gli ambienti erano sempre lì, non cambiava niente. E queste case… una cosa incredibile. Io sono stato insieme ad altri miei amici, ad esempio da ragazzo uno che ha fatto anche non quel danno, diciamo, criminoso, però con la voglia anche di cambiare e di buttare le case vecchie, proprio di buttarle. A Lodine non vedi un centro storico, non c’è una casa vecchia di una volta. E da quel punto di vista degli amici: “A bos l’amentaes compa’”, eravamo anche un po’ scalmanati da questo punto di vista, però ero spinto da questo desiderio del cambiamento, volevo quasi quasi…
Cancellare…
quel moderno che io avevo visto, in un ambiente che non c’era qui. Qui non si muoveva niente, una cosa pazzesca da questo punto di vista. La cosa che veramente mi rattristava, questa staticità… una cosa pazzesca.
Qui sei però razionale, che pensi… Ma non scappare dall’infanzia
Eh ma b’abarramos baranta dies
Tutto è bellissimo, secondo te, ma non vorrei che ci sfuggissero… Ma la infanzia felice, cosa vuol dire? E cosa ricordi di brutto se avevi l’ansia di buttar giù tutto seppure dopo che eri tornato da Formia? Ma perché se eri felice, l’infelicità come la ricordi?
Io secondo me… sto cercando di tornare a quel periodo, di analizzarne oggi… La felicità era che intanto vivevi con i tuoi amici, eri libero, non sentivi i problemi, non li sentivi. Per esempio è chiaro che mia madre, che invece doveva tirare avanti la famiglia, è chiaro che era un’altra cosa il suo pensiero, però da ragazzo in quel periodo ero felicissimo. Felicissimo! Perché eravamo dentro questa sorta di bolla, un mondo, che a me piaceva…
Però è difficile sentirselo dire. E invece era un mondo per esempio di affetti.
Era un mondo di affetti, era un mondo… del gioco insomma, un mondo che mi piaceva viverlo, e mi piaceva anche non rimanere indietro perché in questo caso, voglio dire, uno gioisce se anche, voglio dire, non è nemmeno l’ultimo, non è il ragazzo preso in giro. Queste sofferenze io non le ho mai avute, anzi: ho avuto l’inverso da questo punto di vista. E poi è chiaro che se dovessi dire, magari sono stati assaggi, non invece una vita vissuta, però l’assaggio di fare per qualche periodo il pastore e anche il servo-pastore per qualche mese, per qualche anno, io l’ho vissuto e ho vissuto anche il momento di dormire in quella sorta de saccu ‘i si narad in sardo, fatto d’orbace, e ho avuto quella forza per dormire sotto una quercia e poi, voglio dire, quei tempi insomma, ricordo dal punto di vista delle agevolazioni che hai adesso non ne avevi, io dormivo anche a volte in s’istoja. Ero contento. Adesso che mia figlia mi dice: “Babbo, bisogna prendere il memory…” No no, il problema mio, la soluzione non è dormire, è un problema di testa a questo punto il mio.
Non c’era violenza in quel mondo, in quella vita? Palmerio scusa, Gavino Legga ha raccontato una storia che era universale che non riguarda solo i sardi ma anche i sardi e quella generazione tua fra l’altro.
A me è piaciuto il libro di Ledda al di là di qualche sardista che diceva: “Non bisogna dire ‘ste cose”… Erano così. Erano così! E ha detto una verità incredibile, e-ra-co-sì! Poi uno può dire, per cercare di dire agli altri; ma non eravamo così. Noi eravamo anche così. Quindi era quello il mondo.
Nel caso tuo cosa vuol dire?
Io non avevo come Gavino un “padre padrone”, da questo punto di vista questo problema non l’ho vissuto e mi sentivo anche uno che godeva di affetto, di apprezzamento, io ‘ste cose di Gavino no. Però il mondo con tutte le paure che ha descritto Gavino, è reale. Quindi la paura dei raccolti, l’annata che non si concludeva bene per un problema di tipo meteorologico, dei raccolti, perché il problema, come noi sappiamo, uno si immedesima nella campagna quando tutto va bene, però c’è un rischio incredibile, basta una grandinata, distrugge, non è che sia…
I furti?
E certo che c’erano. Tieni presente: c’è stato un periodo dove ad esempio bandihare o essere bandito non era così condannato dalla società, assolutamente. Poi abbiamo avuto anche guarda – vorrei che questo non so, se non lo capite chiedete che ve lo spiego meglio – ma c’era un desiderio un pochettino prima dei miei anni che ad esempio questo mondo cosiddetto della legalità era visto come una… non dico il mondo quasi “cheguevariano” degli anni anche più vicini a noi, ma c’era anche un desiderio: alcuni, questo è importante, si davano alla macchia senza essere nemmeno ricercati. C’era questo senso, non so come si può spiegare, ma di piacevolezza, come dire: “Deo mi la barzo”, cioè, io sono uno che anch’io ho coraggio, anche io ho valori, di quei valori di allora… il concetto alla giustizia, la giustizia non era vista bene, anche perché non si comportava bene in moltissimi casi.
Dillo in relazione a te, però
Io li ho conosciuti, questo io l’ho avuto, però non l’ho vissuto, però ho capito com’era quest’ambiente insomma. E quindi quando certe volte mi viene da pensare, la cosiddetta “omertà”… Nasce anche da ragioni…
Tua madre come ce la descrivi?
Mah… mia madre era una figura, sai, come tutte le madri: era una donna splendida, una donna che ha avuto un coraggio incredibile, che non aveva paura, perché tirare avanti con una famiglia… è diventata vedova, anche. Io avevo tredici anni quando mio padre è morto, non era una cosa… aveva le preoccupazioni. Mia madre che andava a cercare i miei fratelli fuori dai nostri ambienti, chi era in Sa Nurra chi era in altri ambienti e poi immaginatevi il sistema dei trasporti di quel periodo, era una che amava la sua famiglia in maniera incredibile. Tanto è vero che io quando vedo una donna di una volta ancora vestita in quelle forme, io… mi crea uno stato di… emozione.. un sentimento forte quasi, che mi riporta vicino al quei periodi veramente. E quindi quando si parla di questo, ad esempio quando si parla della condizione delle donne io ricordo mia madre e come diceva la… non mi ricordo mi sembra una bellissima canzone di Mia Martini, non mi ricordo qual era, quando lei tratta l’argomento per dire, ma noi, voglio dire, ma tutti siamo, sono figli di madre. Bellissima canzone, non mi viene il titolo, molto bella. Come si fa ad esempio anche su questa storia del femminicidio, a combinare quello che si sta combinando oggi, questo venir meno ad esempio del valore che ha una madre, insomma? Tutte ‘ste cose sono legate, non è che nascono così a caso.
La giornata quotidiana di tua madre com’era?
La giornata quotidiana era quello di accudire, ad esempio di lavarsi, di fare da mangiare, quello di preoccuparsi ad esempio, e lei stessa poi era contadina, lavorava, perché poi mio padre aveva avuto un infortunio, aveva perso una gamba, quindi lei faceva quasi doppio lavoro, non solo madre ma un’operatrice nel senso lavorativo, nel senso della parola. Una figura per me eroica.
Io tutta quella fase di mio padre in quella condizione o prima, la ricordo molto molto bene, poi avevamo i carri.
Una delle cose importante, questo l’ho fatto con mio fratello, Abbasanta, c’era la fiera degli animali e io sono andato con mio fratello. C’era lo scambio delle bestie oppure… e quindi ci andai a piedi chiaramente. Ci voleva qualche giorno, magari dormivi in qualche ambiente. Ma io ti dirò che io sono partito da qui fino a Siliqua a piedi.
A Siliqua c’era Berlingheri?
Sì, Berlingheri. Per fare il pastore. Poi lì c’era mio fratello che era con un altro di Gavoi e ricordo che era un autunno piovoso, un autunno avanzato, insomma. C’era questa sorta di transumanza e nel Campidano con le pecore che a un certo punto sbordeggiavano dalla strada che portava dove dovevamo andare, allora andavano sull’arato, affondavano, io non affondavo perché avevo le scarpe dei miei fratelli. Io a mio figlio avevo augurato, ho avuto il desidero che facesse un pochettino di questa università di vita bellissima. Ecco perché sono uno che gode, che ha goduto di una certa condizione . Un ragazzo di oggi nasce quasi disperato, perché non si vede nemmeno un futuro. E poi non era negativo ma pensando a oggi… tu avevi un’idea che la cosa poteva sempre e comunque migliorare, quindi avevi la speranza e vivevi questo rapporto di… avevi questo sentimento…
Un dolore lo ricordi invece, una cosa che hai sofferto, che riguarda proprio te.
I dolori sono magari la perdita di qualcheduno, qualche amico, magari i dolori sono anche qualche momento di difficoltà della famiglia, quelli c’erano
Quando è morto tuo padre per esempio, come l’hai vissuto?
Quando era morto mio padre ad esempio io ero a Bonorva. Muore mio padre, io ero a Lodine e vedo mio padre morto. Come abbiamo detto mio padre si sposò due volte, il mio fratello più grande, non proprio il più grande, gli altri erano a Roma, era pastore a Bonorva, allora io e un altro mio fratello, Gonario, che ha lavorato anche nell’industria, siamo andati a Bonorva e abbiamo fatto rientrare l’altro fratello per il funerale, eravamo lì nella piana a Santa Lucia. La zona di Rebeccu. In questo caso il sentimento era forte insomma, viene a mancare… poi sai ‘ste cose insomma ti toccano, non è che non ti toccano.