Episodio 2 – Pasqualina Borrotzu

Pasqualina ci accoglie nel salotto di casa a Orani, nel rione quasi solo operaio di fronte a Campusantu vetzu. Altre interviste si svolgeranno non lontano da qui. Vive con una sorella – che morirà non molto tempo dopo l’intervista – in una casa grande a più piani. Vecchie foto di infanzia alle pareti e quadri dell’importante arte oranese. La vetrata si affaccia sulla campagna di Orani e lascia entrare molta luce, ma questo lo notiamo soltanto durante la seconda visita perché la prima intervista viene fatta il 2 dicembre 2021 e le giornate sono così corte che quando arriviamo, intorno alle 16, fuori è buio e i lampioni sono già accesi.

Intervista integrale: 71 min.

Chiedete voi. Chiedetemi anche che apertura ci ha dato la fabbrica.

 

Sì sì, certo, ci arriveremo. Ma cominciamo da te, dalla tua famiglia.

 

Sono nata nel 1948, mio padre era minatore, a Orani. Eravamo sette fra fratelli e sorelle, due maschi e cinque femmine, i maschi sono andati in cielo da bambini, siamo rimasti cinque femmine. Mia mamma aveva un negozio di alimentari.

Mia madre non voleva mandare mia sorella all’università perchè non aveva mandato noi, invece noi abbiamo aperto il varco e le due più piccole sono andate all’università. Essendo tutte donne era come una disgrazia perchè le donna era vista come una che non portava beni alla famiglia, invece grazie a Dio ci siamo tutte difese. La più grande è del ’43, ci siamo tutte difese in termini di lavoro, in termini di vita sociale. La penultima e l’ultima sono andate a studiare, la prima ha fatto sociologia del lavoro alla Sapienza a Roma, l’altra ha fatto un’altra…..

 

Quindi la miniera pur essendo sfruttati questi nostri minatori però erano anche molto aperti, per esempio io mi ricordo ogni anno la gita gratuita alla fiera di Cagliari, la gita a ferragosto, tutti spesati,  altri bambini pur essendo più benestanti di noi non potvano accedere. oppure lo spaccio aziendale arrivavano cose che altrimenti non potevamo avere, per esempio portavano il panettone dal Piemonte,

il panettone Galup che per me è il migliore,

ecco la miniera ci ha portato questo.

Oppure ricordo quando stavano chiudendo la miniera. al bivio del paese tutti i bambini coricati per terra, con Nioi*, già siamo entrati in un giro di protesta e questo ha fatto sì che a Ottana nel primo consiglio di fabbrica nel 1975 il settantacinque per cento eravamo oranesi. E quindi Angioi che era diventato segretario regionale, Gianni Nieddu, Antonio Ladu, io che ho fatto un corso di sindacato con Cofferati nel 1980. Quindi eravamo da quel lato il paese più… diciamo politicizzato.

 

Mio babbo era del 1909

 

Politicamente lui che evoluzione ha avuto, da pastore?

 

Era sardista. C’era anche un rapporto di amicizia con le Bussalai*, sapete chi sono, e a mio babbo l’aveva battezzato l’onorevole Mastino col quale c’era anche un rapporto personale. Ha un po’ trascurato quando è venuta in piazza io ricordo benissimo questa esperienza perchè eravamo molto amiche con le Bussalai, ho un sacco di regali che mi hanno fatto – quando è venuta la bandiera del Partito sardo – io ero ragazzina – abbinata alla bandiera del Partito comunista. Mio babbo ha detto no, non ne voglio più sentire. Poi ricordo il viaggio che aveva fatto Columbu, a piedi, da Ollolai a Cagliari, ed io forse ho anche la foto – col fermaglio della Sardegna regalato da Bussalai sono andata a lanciare il grano all’ingresso del paese.

 

Tua mamma ha un negozio, le figlie crescono, andate a scuola. Tutte?

 

Solo la grande che era bravissima non la mandava mamma, chissà cosa le sembrava. Non so se hai sentito parlare di Peppino Are che scriveva sul Sole 24 Ore, di Orani, veniva a far preghiera a mia mamma per mandarla a scuola. Sai le donne allora era un …Poi invece quando sono venute le scuole medie allora mamma non mi voleva mandare perchè non ci era andata la grande, mia nonna ha detto la scuola è la grazia di dio che passa. Si pagavano mille lire di iscrizione allora mille lire. Tutto quello che non ti compra tua mamma te lo compro io, vai tranquilla. Meno male.

 

Tua nonna aveva una particolare sensibilità, tutta sua, diciamo?

 

Sì mia nonna aveva una particolarità tutta sua, rimava, era diversa

 

Hai conservato poesie, testi?

 

Di poesie ne ho una casa. Di mia nonna, dei miei zii, avevo uno zio che è stato il primo emigrato oranese a Parigi, dove tutti son passati. Prima è andato a Roma e poi è andato a Parigi e ha scritto Addio Roma e sas bellas funtanas, cantu ses bella mi cumpares trista, ca suffro e piango morinde ‘e sa gana. Comente appo piantau sa Sardigna, ti pianto e ti saludo Italia madre indigna.

 

Tu scrivi? Ti viene qualche espressione in rima, per esempio?

 

Io non scrivo ma abbiamo sempre avuto a casa una vena, qualche volta sì mi viene qualche espressione. A esempio mia nonna mi mandava a prendere le ricette con cento lire di mancia, e io dicevo: Nonna oggi c’è troppo vento, ce ne vogliono duecento.

Non si va per la somma ma per amor della nonna, rispondeva. Ma di queste cose ne avrei…Adesso stiamo entrando in un varco che…

 

Io dopo vorrei vederle le poesia di tua nonna.

 

Sì, sì. Di mia nonna, di mia zia. Mia nonna aveva undici figli, quindi c’è tutta una storia.

 

Dove lo trovava il tempo per scrivere?

 

Andava… Allora si usava cantare i morti, aveva un fratello, signorino, che era podestà, che aveva un sacco di beni, che ci ha lasciato, a casa di nonna erano ventuno, sedici di prima moglie. Quando è morto il padre la figlia grande ha detto, oddio son preoccupata, babbo si sta facendo . cingere il costume, si risposa. E quindi altri cinque, ventun viventi, quindi muore quest’uomo che era anche allegrone, va nonna a cantare e dice

 

 Cesare zichi brundu salomone secundu. Rientra e mio zio le fa

 

ih ma’, azis isbagliau, cesare zichi brundu bagasseri secundu, oie su mundu lassa su babbu ‘e sas bagassas

 

e lui è famoso per questo.

 

C’era un forno dove si faceva la calce, con cui dipingevamo le case, custu si chiama Perotto e muore all’improvviso e la gente oddeu it orrore comente achimus chene urru de carchina. E mio nonnoe comente, mortu Perotto no sind’azappat prus carchina? L’indomani ha fatto un forno. Un personaggio, è stato podestà per due volte.

 

Invece voi crescete in questo paese…

 

io ho fatto l’avviamento.

 

Dopo l’avviamento non si prende in considerazione per voi l’ipotesi di mandarvi a studiare?

 

Per me sì, io ho battagliato. Ho fatto il corso triennale di segretaria di azienda, a Nuoro, alla Poa. Viaggiavamo tutti i giorni.

Mi diplomo, poi ho avuto anche altre possibilità di lavoro, aiutavo anche in negozio però la fabbrica era uno stipendio più alto allora, era molto più degli insegnanti, quindi il miraggio era andare lì per un fatto economico, mi ricordo qualche mia amica insegnante laureata che si arrabbiava perché gli stipendi nostri erano più alti.

 

Nel ’71-’72 ho preso in considerazione la fabbrica. Ero tra i primi, sì. Oranesi eravamo centotrenta, donne eravamo tre o quattro, cinque massimo, viaggiavamo in pullman.

 

Misero pullman a iosa dove però non potevano salire gli studenti, poi ci fu lo sciopero dopo di che fu permesso a tutti. E a quel punto scopri la realtà della fabbrica. Ma prima? Come sei stata assunta?

 

Io sono andata a ballare a santa Lucia e incontro questo, mia cugina che già lavorava lì e questo mi fa ma…perchè non vieni da noi a lavorare si sta bene. Ho fatto la domanda, mi hanno chiamato a colloquio, eravamo cinque il giorno, un colloquio e una prova di dattilografia di velocità, io siccome avevo già mia cugina mi ero preparata ho fatto la prova il 4 maggio, ai primi di luglio mi hanno assunto.

 

Un corso specifico per entrare?

 

No no, quelli andavano dopo fuori.

 

Tu ti sei trovata subito in fabbrica, com’era allora la struttura fisica, l’edilizia, che cosa c’era già?

 

C’era già la palazzina direzionale, ho fatto il colloquio lì e poi è stato che due ci hanno assunto lo stesso giorno con una ragazza, una doveva andare in direzione, una in un magazzino allora hanno messo a scegliere il dirigente, il dirigente ha scelto me per stare con lui. Bullani si chiamava, dottor Bullani.

 

Con quale sentimento ti ricorderesti quei giorni, come li ricordi, con gioia, emozione, un po’ di preoccupazione… era una scelta di vita importante o pensavi che potesse anche essere provvisoria?

 

I primi giorni mi ricordo con emozione e anche con preoccupazione, perché non sapevi mai cosa ti chiedevano di fare, in questo palazzo di vetro molto i dirigenti erano tutti di fuori, tutti gran signori quindi rimanevi un po’ come la bambina o la ragazzina che… poi però boh, pare che mi sono subito adattata. È stata una bellissima esperienza di lavoro, sono stata sempre gratificata, forse non per tutti è così, adesso io non lo so. Gratificata sia economicamente sia con la fiducia, in questo senso ecco, con attenzioni, con gentilezza, devo dire una bella esperienza.

 

Non hai vissuto discriminazione come donna, in quanto donna

 

No. Mai. Perché dov’ero io c’era la direzione ed eravamo tre donne ed eravamo tutt’e tre molto considerate, poi non so se le altre, forse dipendeva anche dalla posizione che avevi. Poi magari sentivo delle colleghe in amministrazione che dicevano io sono ragioniera come .. ma una certa importanza la danno sempre a… questo forse sì, una cosa del genere. Dov’ero io non ricordo.

 

Tu di cosa ti occupavi?

 

Io ero nella segreteria della direzione, dove facevamo i biglietti viaggi, facevamo i passaporti, c’era un sacco di traffico, giapponesi, passavamo a Roma per mettere i visti, prenotavamo gli hotel, tutte queste cose, oppure se c’era un ospite non c’erano le cose di adesso. Come quando è venuto Berlinguer mi ricordo l’abbiamo accolto lì, fatto il caffè, abbiamo fatto delle cose che non erano proprio… insomma. Eravamo una piccola famiglia, diciamo.

 

Era una posizione privilegiata. Ma come vedevi gli operai, ti sentivi un po’ diversa, eri un po’ protetta dentro il tuo guscio nella direzione anche come collocazione o ti sentivi di far parte dello stesso loro mondo?

 

Mi sono sempre sentita parte di loro. Ho partecipato a tutte le lotte, a tutte le cose che sono state fatte per salvare tutti, anzi ti dirò, io lo dicevo anche ai dirigenti delle cose che magari forse… No no no mi sentivo parte di loro. Se veniva qualcuno con un problema mi facevo sempre portavoce in positivo.

Andavo sempre alle assemblee.

 

E il conflitto quando c’è stato?

Per esempio non c’era il padrone. Tu avevi i dirigenti…

Ma il conflitto che fa parte diciamo così delle relazioni sociali tipiche di una fabbrica, verso chi era, quando hai sentito che c’era aperta una questione? Per esempio le lotte erano di che genere?

 

La controparte era la politica, su scelte fatte magari a Pisticci parallele ai nostri impianti, non tanto nelle figure che erano fra noi, poi è chiaro che qualche volta son venuti ad occuparci anche da noi anche con modi se vogliamo avanzati e quindi è chiaro che in prima persona era il dirigente, ma il dirigente gli ordini li prendeva sicuramente da fuori la fabbrica, e quindi vedevamo la politica più che altro, le scelte politiche.

 

Invece la tua evoluzione a proposito di politica qual è stata? Da questo tifo diciamo che sentivi in famiglia per i sardisti, poi?

 

Sì molto sardista la famiglia, poi un po’ la dc, poi La margherita.

 

Perchè sei cattolica?

 

Sì sì, cattolica praticante, appartendo a un movimento, ripeto poi come tessera ho preso solo quella della Margherita, perchè mi sembrava… poi ho coordinato il circolo, molto attivo, poi candidata a Orani nel 2005-2010, assessorato cultura, spettacolo e sport, quando era sindaco franco Pinna.

 Poi dopo io il Pd non mi andava, però mi sono iscritta e sono finita all’assemblea nazionale. Poi però ho abbandonato… E’ stata una bellissima esperienza, è stato molto interessante. Per due volte sono stata eletta. Poi le cose si sono un po’ sciolte e adesso niente

 

Da quand’è che non fai più attività politica o sindacale?

 

Sindacato io sono stata alla Cisl, ho fatto il corso e Cofferati era uno dei docenti.

Dopo l’esperienza in comune non mi sono voluta ricandidare, è stato molto faticoso.

 

Abbiamo parlato poco del paese, com’era Orani e come l’hai visto cambiare con l’apertura della fabbrica, erano tante famiglie?

 

Prima c’erano i minatori quindi eravamo già un po’ preparati. Intanto ho notato dei ragazzi che magari erano su strade non belle, come la fabbrica li abbia ricondotti… Poi siccome la maggior parte hanno fatto esperienze a Ravenna, a Pisticci, a Mestre, quindi questi ragazzi hanno avuto anche questa apertura, di vedere altre realtà, di conoscere altre persone. E poi ha portato anche il benessere economico. Le case di questa zona la maggior parte sono di lavoratori di Ottana. Poi ha portato anche fra di noi, adesso te lo dico anche per ridere se vuoi, i primi anni il 27 del mese ci fermavamo tutti al bar, a bere una birra, senza… Ci ha portato anche un’alleanza, se vogliamo.

 

Però al di là dell’inquinamento di cui si parla tanto, io un inquinamento del genere lo rivorrei. Di posti di lavoro, di apertura, di cultura, perché ha dato tanta apertura eh. Io nel ’84 ho fatto il corso di compuer a Milano quando da nessuna parte c’era il computer. Ti ha dato delle possibilità…

 

Io mi ha aperto il mondo sai quando, quando ti trovi lì, vedi tutta questa gente, tutti questi giapponesi che ancora stavano montando, questo traffico di dirigenti in continuo, quindi vedevi un altro mondo, i contatti con le colleghe di Milano, che oltre il contatto di lavoro anche scambiavi… diciamo questa apertura anche con questa comunità di quattromila e cinquecento persone, 

prevalentemente giovani, quindi era una cosa, capito… di ogni paese, di ogni… quindi lì ho capito che eravamo in un posto bello che ti permetteva tutte queste cose.

 

Tu ti sentivi di difenderlo tutto questo mondo quando cominciarono le difficoltà?

 

Sì, si. Intanto anche esperienze umane, io mi ricordo un signore, oddio se mi mette in cassa integrazione, la mia fine è il bicchiere. Quindi chiaro che difendi il posto di lavoro. Ho partecipato a tutte le lotte, me lo sono ricordato il giorno della manifestazione della sanità,

se Ottana chiuderà bruceremo la città, e la gente correndo a chiudere le serrande, timèndennos.

 

Come te le vivevi le crisi aziendali, vedevi un mondo che si scioglieva?

 

Vedevo un mondo che si scioglieva, vedevo una realtà che era stata un miraggio come sfaldarsi, e quindi anche lì con dolore, non è che potevi essere contenta, mi stringe il cuore anche adesso quando so quello che c’è dentro nella fabbrica. Se solo ricordo ad esempio, non so che fine abbia fatto, il centro di addestramento, una sala riunioni del genere nella nostra zona non c’è da nessuna parte, quindi vivo con dolore anche quando passo, diciamo questa cosa che non si è riconvertita in niente.

 

Ma pensando sempre alla fabbrica io qualcosa la inventerei. Ad esempio il liceo scientifico non ha aule, fatto il doppio turno, io pensavo a quelle aule, questi di questa zona andranno lì o viceversa, ma troviamo un modo. Un’ipotesi ecco, di questo tipo. Oppure si parla anche di aziende… noi non possiamo vivere solo di turismo come pensiamo noi, o di agricoltura, non ce la facciamo. Credo che ci vuole turismo, l’agricoltura e l’industria, non ce la facciamo diversamente. Difficilissimo anche dare un’indicazione. Avrei voluto più amore per la nostra terra, più amore. Da parte dei politici, più interesse concreto.

 

Tu che vita fai, nel molto tempo libero?

 

Attualmente una vita da anziana, cosa faccio? Forse quasi niente. Vabbè in parrocchia c’è un gruppo, ho preparato un gruppo di ragazzi per la cresima, li ho preparati a casa, e le cose che fanno partecipo.

 

E poi leggi, vedi cosa?

 

Televisione molto poco, se non è qualche programma culturale, preferisco una lettura o preferisco una chiacchierata.

 

Le tue sorelle cosa hanno fatto? Ci hai detto che per la tua famiglia era quasi una disgrazia avere cinque femmine…

 

La grande ha preso il negozio di mamma, sino all’età della pensione. Una si è sposata e ha seguito il marito che aveva un’attività, un altro ha lavorato all’Inps e l’altra perito chimico lavorava in laboratorio a Nuoro. Quindi ci siamo tutte impegnate, perché guarda era una sfida, per esempio per me era una sfida uscire da una certa situazione ecco.

 

Nonostante non fosse particolarmente critica, non eravate poveri.

 

Non eravamo né poveri né ricchi, però l’autonomia, essere autonoma, io come donna, come persona, essere autonoma, capito. Ho preso subito la patente, volevo uscire da quella che era mi sto spiegando? Insomma della donna del paese. Poi avere avuto il contatto con tutti questi uomini lì mi ha dato un’altra apertura.